Diabete e vaccini: un binomio vincente.

E non solo contro il Covid, ma anche contro influenza, pneumococco, meningococco e tutte le malattie infettive.

Le malattie infettive sono un importante tallone d’Achille per le persone con diabete; non solo sono più suscettibili, ma sviluppano spesso forme di infezione più gravi e, nel caso di quelle batteriche (polmoniti, infezioni delle vie urinarie, ecc), spesso sono gravate anche da resistenza alla terapia antibiotica. Per questo i vaccini, che siano anti-Covid-19 o anti-influenzali, rappresentano per i diabetici una strategia di prevenzione particolarmente raccomandata. “Il paziente con diabete – ricorda il professor Agostino Consoli , presidente della SID – è da una parte più esposto al contagio di alcune patologie infettive, ma soprattutto è più esposto alle complicanze. La persona con diabete che contrae l’infezione da Sars CoV-2 ha infatti un rischio doppio di andare in ospedale e di essere ricoverato in rianimazione. Quindi vaccino per tutti! Soprattutto per le persone con diabete, ma ovviamente anche per il resto della popolazione. E per le persone con diabete ricordiamo anche di fare i vaccini contro l’influenza, contro lo pneumococco, il meningococco, insomma contro tutte quelle patologie infettive prevenibili che sono più pericolose nella popolazione con diabete.”

“ Chi ha il diabete – afferma il Professor Enzo Bonora , Università di Verona – deve evitare assolutamente le infezioni e il modo migliore per prevenirle è vaccinarsi. Le persone con diabete sono particolarmente fragili nei confronti di tutte le infezioni, comprese quelle da SARS CoV-2. Quando vanno incontro al Covid-19, più facilmente fanno un’infezione grave che le porta al ricovero e anche alla morte, con maggior probabilità rispetto alla popolazione generale. Questa cosa non va nascosta perché le persone devono essere consapevoli del fatto che devono proteggersi. Non devono fare affidamento su cure che ancora non ci sono e forse non ci saranno mai. È molto meglio prevenire una malattia, che non farsela venire in forma grave e poi magari cercare di curarla. Perché a volte col Covid-19 la cura non funziona. E quelli che pensano di valutare se fare il richiamo (la terza dose), in funzione della loro risposta anticorpale, sbagliano. Intanto perché se 45 milioni di italiani volessero fare il test sierologico prima del vaccino il sistema non reggerebbe, ma anche perché non è detto che chi ha tanti anticorpi sia più protetto di chi ne ha meno. Quindi non ha senso fare questi esami. Ha senso invece aderire alla campagna vaccinale, facendo i vaccini proposti. Le persone con diabete che dovrebbero fare ogni anno il vaccino contro l’influenza e devono fare il richiamo contro il SARS CoV-2, che uccide con molta più frequenza di quanto non faccia l’influenza. La vaccinazione antinfluenzale, analogamente alle altre offerte gratuitamente dal Ssn, in caso di diabete, dovrebbe essere fatta a tutte le età, anche a 30 o a 40 anni, indipendentemente dalla durata del diabete e dalla presenza o meno di complicanze; perché l’influenza predispone il diabetico a varie complicanze, quali la polmonite batterica”.

“ La maggior suscettibilità alle infezioni delle persone con diabete (sia tipo 1 che 2) – spiega la dottoressa Valeria Sordi , Diabetes Research Institute , Ospedale Raffaele di Milano e componente del Comitato Didattico della Società Italiana di Diabetologia – è legata all’iperglicemia. Il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (2017-19) prevede una serie di vaccinazioni raccomandate e gratuite per le persone con diabete. Ma il passaggio dal ‘frigo al deltoide’ non sempre avviene. Anzi. Nel caso dell’influenza, a vaccinarsi è meno del 30% delle persone con diabete tra i 18 e i 64, mentre l’obiettivo sarebbe arrivare al 75%. Da uno studio che abbiamo condotto al San Raffaele è emerso inoltre che oltre il 60% delle persone con diabete di tipo 1 non è al corrente di questa possibilità o non vuole vaccinarsi. Sarebbe dunque necessario fare delle campagne informative ad hoc per combattere l’esitazione vaccinale, un fenomeno influenzato dal modello della 5 C: Confidence (la fiducia nell’efficacia dei vaccini e nei medici), Complacency (la mancata percezione del rischio delle malattie infettive), Convenience (accessibilità), Calculation (l’impegno dell’individuo nella ricerca di informazioni, che purtroppo, in mancanza di fonti certe, può portare ad una maggior resistenza al vaccino), Collective responsability (la volontà di proteggere gli altri, attraverso il vaccino)”.

Ma le persone con diabete come rispondono ai vaccini e in particolare a quello contro il SARS CoV-2? “In generale molto bene, al pari del resto della popolazione – spiega il professor Raffaele Marfella , ordinario di Medicina Interna presso l’Università della Campania ‘Vanvitelli’ (Napoli) – ma la risposta immunitaria dipende anche dal grado di compenso glicemico dell’individuo. Insomma, se la persona con diabete è scompensata (cioè se ha un’emoglobina glicata superiore al 7%) al momento della vaccinazione, la risposta al vaccino potrebbe ridursi. Ma la buona notizia è che se ottengono un buon compenso metabolico anche dopo aver fatto il vaccino, la risposta immunitaria torna altrettanto valida di quella delle persone non diabetiche. Il take home message insomma è che l’iperglicemia ‘sbiadisce’ la risposta immunitaria, mentre la ‘ricolora’ una glicemia ben compensata”. Il Covid-19 insomma rappresenta un motivo in più per perseguire un ottimo controllo della glicemia, sia per proteggersi dall’infezione, che per migliorare la risposta al vaccino. Si, ma quali vaccini?

“ Sono almeno tre le piattaforme di vaccini che si sono mostrate efficaci contro il Covid-19 – ricorda Carlo Toniatti , direttore scientifico IRBM di Pomezia – quelli a mRNA, a vettore virale e a nonoparticelle (i cosiddetti vaccini ‘proteici’). I vaccini a mRNA si sono dimostrati molto efficaci, ma hanno incontrato anche tante resistenze psicologiche; credo che l’arrivo dei vaccini ‘classici’, quelli a nanoparticelle ricombinanti, come il Novavax, aiuterà a vincere queste resistenze. E, per il futuro, si sta già lavorando a vaccini mirati ad aumentare l’immunità cellulare, cioè a stimolare le cellule T. Ma questo potrebbe richiedere una decina d’anni”.

E nel frattempo l’Africa, il continente meno vaccinato della terra, rappresenta una bomba a orologeria per l’emergere di nuove varianti.“Nella metà povera del mondo – ricorda il professor Dietelmo Pievani , biologo evoluzionista e prorettore dell’Università di Padova – il virus è più libero di mutare; per questo, le disuguaglianze di accesso alla salute e il SARS CoV-2 rappresentano una ‘sindemia’. Inoltre, abbiamo creato contesti antropici che favoriscono le zoonosi e questo favorisce le ‘ecosindemie’ (una pandemia che interagisce con fattori sociali ed ecologici); tutti i focolai di Ebola finora registrati si sono avuti in zone dove la foresta è stata rimpiazzata da piantagioni; anche il commercio illegale di animali esotici e i wet market favoriscono lo spillover . Insomma, anche l’attuale pandemia di Covid-19 è un effetto collaterale della devastazione ambientale. D’altronde, il concetto di ‘ One Health’ ce lo ha insegnato: la patologia dell’ambiente, prima o poi diventa patologia umana”.

Ufficio Stampa SID

Paziente ‘digitale’: il diabete è una delle discipline più ‘avanti’.

Le tecnologie per la salute digitale sono già una realtà nel campo del diabete e permettono di essere vicino ai pazienti anche quando il diabetologo è lontano. La lezione del Covid- 19 e cosa manca per un’implementazione su larga scala. L’intervento del professor Luigi Laviola (Bari) al congresso ‘Panorama Diabete’ della Società Italiana di Diabetologia.

La pandemia di Covid-19 ha dato un’accelerazione senza precedenti alla digitalizzazione della medicina, soprattutto nel campo del diabete. Ma adesso è necessario sistematizzare, rendere organiche e mettere in rete le tante iniziative spontanee, spuntate durante i mesi più duri dei lockdown, per traghettare il ‘digital diabetes’ verso il futuro, approfittando anche delle risorse messe a disposizione dal Pnrr. Perché tutto ciò diventi veramente l’alba di un nuovo mondo per le persone affette da questa condizione. E i risultati dei primi studi sulla telemedicina applicata al diabete suggeriscono che questa è la strada da percorrere, visto che i pazienti assistiti da remoto o in modalità ibrida hanno in media un’emoglobina glicata di mezzo punto inferiore a quelli assistiti in modalità tradizionale.

“ Il digitale è già presente in tanti aspetti della vita dei pazienti – afferma il professor Luigi Laviola , ordinario di Medicina Interna all’Università di Bari – dalla pre-visita (informazioni sulle malattie, ricerca di sintomi, medici e strutture), alla visita (prenotazione, consulto, pagamento, invio referti, al trattamento (somministrazione, monitoraggio del decorso della patologia). Ma la vera rivoluzione è ancor più evidente nei device per il diabete (pompe da insulina, penne da insulina ‘smart’, pancreas artificiali ibridi, sensori per la glicemia ‘impiantabili’ e ‘indossabili’), nelle ‘app’ per pazienti e per medici da smartphone, nei siti web di supporto al paziente e nei software di data management. E già si guarda alle prossime frontiere, come le app di supporto decisionale per il medico, gli algoritmi di intelligenza artificiale (già entrati nello screening della retinopatia diabetica) e i sistemi di integrazione delle informazioni provenienti dai social media. C’è poi tutta l’area dei digital therapeutics, cioè delle app utilizzate come ‘farmaci’, che verranno validati da trial clinici su e-coorti”.

La mobile health (m-health) fa riferimento all’uso di dispositivi mobili (app da computer o smartphone, altre che utilizzano sistemi di comunicazione più tradizionali quali telefono, sms, e-mail, instant messaging) per scambiare informazioni che hanno a che fare con la salute. Nell’ambito generale della connettività, la telemedicina fa riferimento all’attività di cura e prevenzione tramite l’uso di tecnologie, che include tutta una serie di strategie, la principale delle quali è il tele-monitoraggio . “Il diabete – commenta Laviola – è forse l’esempio migliore di come questi aspetti di salute digitale possano essere collegati in maniera efficace: la m-health consente al paziente di registrare sul suo smartphone e inviare su cloud i dati relativi ad esempio alla glicemia; il telemonitoraggio consente al medico di visualizzare questi dati sul suo computer e di darne un’interpretazione; la telemedicina in senso stretto è il collegamento tra questi due attori e utilizza le informazioni fornite dal paziente e le considerazioni fatte dal medico, per gestire al meglio la patologia”. Nel diabete, si è già in un contesto in cui questi vari aspetti sono collegati tra loro. Anche perché un numero, non seguito da un’azione, non ha alcun significato e non serve al paziente. Ma la strada da percorrere è questa. “Dal punto di vista della valutazione dell’efficacia – spiega Laviola – metanalisi e studi recenti convergono su un risultato ricorrente: queste strategie determinano una riduzione di mezzo punto dell’emoglobina glicata , un dato clinicamente significativo di miglioramento del compenso del diabete”.

Durante la pandemia, i medici si sono trovati a dover gestire richieste d’aiuto dei pazienti con malattia cronica che necessitavano di supporto e di contatto ma che dovevano evitare di entrare in ospedale. “Le società scientifiche di categoria (Società Italiana di Diabetologia – SID, Associazione Medici Diabetologi – AMD, Società Italiana di Endocrinologia – SIE) lo scorso anno, hanno messo a punto un Percorso Diagnostico- Terapeutico Assistenziale ( PDTA ) sottoposto alle autorità regolatorie, per un primo orientamento circa le modalità di attuazione di una tele-visita per i pazienti metabolici, diabetici ed endocrinopatici.

“ Successivamente – ricorda Laviola – abbiamo fatto una survey delle tecnologie e software disponibili per la telemedicina, per individuarne pregi e difetti e cosa serviva a migliorarle. Più di recente SID, AMD e SIE hanno elaborato un vademecum molto pratico sulla gestione delle visite diabetologiche da remoto, indicandone le tappe essenziali (calendarizzazione appuntamenti, contatto preliminare, acquisizione ricetta, attività di tele-visita con strumenti e software sicuri, criptati e in grado di garantire la sicurezza dei dati, la refertazione della visita e la certificazione della prestazione). Questo ha consentito alle strutture diabetologiche italiane di reggere l’impatto del Covid meglio di quanto sia successo in altri Paesi del mondo”. Negli Usa le visite in presenza si sono ridotte in questo periodo di oltre il 60% e solo il 14% di queste è stato recuperato tramite tele-visita; mentre in Italia, nelle 8 settimane di lockdown più duro (a marzo) molti centri diabetologici sono riusciti a portare a termine oltre il 90% delle visite prenotate grazie alla telemedicina. E si è addirittura generato un paradosso, quello del lockdown effect : alcuni parametri di compenso glico-metabolico dei pazienti italiani seguiti in telemedicina sono addirittura migliorati durante il lockdown. Forse perché si sono sentiti comunque seguiti, anche a distanza.

Cosa si è imparato da queste esperienze di telemedicina e come impronterà l’assistenza futura? “Di certo – spiega Laviola – il concetto di raccogliere dati rilevanti e come utilizzarli. Ma il modo con il quale facciamo le nostre visite deve cambiare; dobbiamo passare da un approccio ‘puntuale’, ad una visita che tenga conto di quello che è successo e di quello che succederà (i dispositivi di telemedicina raccolgono lo storico e ci permettono di prevedere il futuro). Infine, va considerata la possibilità dell’ approccio ‘ibrido’ (visite da remoto e in presenza nel corso dell’anno) che deve diventare un’opzione per tutte le persone con diabete. È naturalmente necessaria la disponibilità di hardware e di dispositivi nei centri diabetologici e a casa dei pazienti, ma la vera conditio sine qua non però è lavorare sulle competenze informatiche , non solo dei pazienti, ma anche dei professionisti della salute (formazione all’uso delle tecnologie). Un altro punto importante è l’ integrazione dei dati , cioè l’interoperabilità delle varie piattaforme; è necessario spingere per un linguaggio unico di queste piattaforme e di questi dispositivi. Non è accettabile che gli approccio innovativi di telemedicina siano guidati dall’iniziativa delle industrie private. Fondamentale è anche una normativa corretta sull’utilizzo dei dati e la sicurezza informatica dall’intrusione di cyber-attack. E infine l’interpretazione dell’utilità di questi sistemi che significa non solo una valutazione di costo-efficacia economica, ma una valutazione intelligente di quello che significa per la singola persona e per la società l’utilizzo di questi dispositivi; infine servono dei modelli di rimborso dignitosi”.

“ La sfida della cronicità – commenta Agostino Consoli , presidente della SID – passa per la prossimità. E la prossimità non può che essere digitale. E non solo nel contatto tra lo specialista di diabetologia e il paziente, ma anche nella costruzione della rete, del network , che comprende la persona con diabete, il suo curante, il medico di medicina generale, lo specialista diabetologo e in seconda battuta, gli specialisti coinvolti nel trattamento delle complicanze. E l’ossatura di questo network non può che essere telematica. Esempi virtuosi di questo sono già presenti. Occorre implementarli, diffonderli e renderli il ‘PDTA nazionale’ dell’assistenza al diabete”.

“ La pandemia di Covid- 19 – ammette il professor Angelo Avogaro , presidente eletto della SID – ha sicuramente imposto un ‘allontanamento’ del paziente con diabete dal suo centro di riferimento. Le ricadute di questo distacco sono state un peggioramento del compenso glicemico e l’interruzione dell’abituale follow-up delle complicanze della malattia. Per questi motivi, l’introduzione nella pratica diabetologica della digital health ha sicuramente reso meno dolorosa questa lontananza e ha favorito il rapporto continuo tra pazienti e diabetologo. A tutt’oggi la pandemia fa sentire i suoi effetti, ma riteniamo che, anche in tempi migliori, la digital health possa supportare la diabetologia, soprattutto nel follow-up dei pazienti con difficoltà di accesso ai servizi di diabetologia”.

Ufficio stampa Sid

Terapia del diabete di tipo 2, nuove linee guida: cosa cambia e cosa resta.

Il commento del professor Agostino Consoli, presidente SID e del professor Angelo Avogaro, presidente eletto della SID

Presentata al congresso ‘Panorama Diabete’ della Società Italiana di Diabetologia SID la nuova edizione delle linee guida congiunte della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) per la ‘ Terapia del diabete di tipo 2 ’ che l’Istituto Superiore di Sanità ha inserito all’interno del Sistema Nazionale delle Linee Guida (SNLG). La novità più eclatante delle nuove linee guida è che le sulfaniluree scompaiono dall’algoritmo terapeutico per il diabete di tipo 2. “Un passo necessario – commenta il professor Agostino Consoli , presidente della Società Italiana di Diabetologia SID – perché la revisione sistematica degli studi su questi farmaci ha evidenziato un rapporto benefici/rischi non favorevole per le sulfaniluree, rispetto ad altre, più moderne opzioni terapeutiche. Viene dunque raccomandato di non prescrivere queste molecole alle persone con diabete che non ne facciano già uso e di procedere alla loro progressiva sostituzione in chi fosse già in trattamento con questi farmaci”. “Il processo di sostituzione progressiva di terapie ormai obsolete – commenta il professor Edoardo Mannucci , coordinatore del panel di esperti della SID e dell’AMD che ha redatto le linee guida – potrà richiedere tempo e sforzo organizzativo, ma porterà certamente ad un miglioramento della qualità complessiva della cura per le persone con diabete di tipo 2”.

La seconda caratteristica distintiva delle nuove linee guida è che, contrariamente ad altre linee guida internazionali che hanno mostrato da subito un ‘innamoramento’ per le nuove molecole, le linee guida SID-AMD continuano a riservare un ruolo centrale alla metformina . E non potrebbe essere altrimenti: gli studi analizzati confermano che, sebbene ‘datato’, si tratta di un farmaco efficace e conveniente, in termini di rischio/beneficio. “Ma naturalmente – commenta il professor Angelo Avogaro , presidente eletto della SID – anche le nuove linee guida italiane recepiscono le evidenze prodotte dagli studi clinici sui benefici cardio-vascolari di alcune classi di farmaci come gli SGLT2 inibitori e i GLP-1 agonisti , che vengono dunque poste in una posizione importante all’interno degli algoritmi terapeutici. Questi farmaci vanno considerati in seconda linea, dopo la metformina, nei pazienti senza malattie cardiovascolari note, mentre vanno prescritti già in prima linea nei pazienti con patologie cardiovascolari”.

E uno dei pilastri del trattamento del diabete di tipo 2 resta comunque una sana alimentazione . Gli esperti diabetologi raccomandano di seguire una dieta bilanciata di tipo mediterraneo, mentre sconsigliano le diete ipoglicidiche (le cosiddette ‘low-carb’) e quelle chetogeniche, nella terapia a lungo termine del diabete di tipo 2. Questo perché con le ‘low-carb’ e le chetogeniche gli effetti a medio e lungo termine sul compenso glicemico risultano peggiori rispetto alle diete bilanciate, di tipo ‘mediterraneo’.

Un’altra novità delle linee guida riguarda l’ attività fisica . Restando ferme le indicazioni sull’importanza dell’attività fisica ‘mista’ (aerobica e anaerobica), che va preferita a quella o solo aerobica o solo anaerobica, scompaiono le ‘soglie’ di attività fisica. Non viene più indicata insomma una soglia minima di attività fisica, che viene sostituita dall’indicazione: ‘fare più attività fisica possibile’.

Rispetto alle edizioni precedenti delle linee guida italiane (gli Standard di Cura del Diabete Mellito), queste nuove linee guida presentano tante novità, anche nel formato , non più ‘omnicomprensivo’, ma focalizzato su un argomento specifico, in questo caso la terapia del diabete di tipo 2. Molto più sintetiche rispetto agli ‘Standard di Cura’, le nuove raccomandazioni sulla terapia del diabete di tipo 2 sono soltanto 18 (contro le 75 sullo stesso argomento contenute negli standard di cura del 2018).

“ Per la prima volta – spiega il professor Consoli – per elaborare le nuove linee guida, gli esperti delle due società scientifiche SID e AMD si sono avvalsi del metodo GRADE , una procedura complessa che mira a ridurre al minimo l’influenza di opinioni personali, ragionamenti deduttivi e preferenze individuali, portando gli estensori della linea guida ad attenersi alle evidenze derivanti da studi clinici di buona qualità (preferibilmente trial randomizzati). Questo metodo, così complesso, consente di ottenere raccomandazioni molto più oggettive, e quindi metodologicamente solide, rispetto alla gran parte delle linee guida esistenti a livello internazionale. E del resto, le implicazioni medico-legali che le linee guida ormai hanno nel nostro sistema, richiedono un particolare rigore nella loro formulazione”.

Dietro ogni raccomandazione, dunque, c’è un grande lavoro di revisione sistematica della letteratura, valutazione critica di evidenze e sintesi statistiche, che viene riportato integralmente, di seguito alla lista delle

raccomandazioni, nel sito del Sistema Nazionale delle Linee Guida. Una volta determinati i vantaggi e gli svantaggi di ciascuna opzione terapeutica, si aggiungono considerazioni economiche (effetti sui costi sanitari diretti, costo-efficacia, costo-utilità, eccetera), verifiche di impatto organizzativo e di fattibilità, arrivando infine, attraverso appositi algoritmi, alla formulazione della raccomandazione. “Ci auguriamo – conclude il professor Consoli – che queste raccomandazioni possano essere un valido ausilio nella pratica professionale quotidiana dei diabetologi italiani”.

Ufficio stampa Sid

Panorama Diabete: l’assistenza diabetologica di oggi e di domani. ‘ Innovazione, Organizzazione, Digitalizzazione’.

Riccione per quattro giorni capitale della diabetologia. Gli specialisti della Società Italiana di Diabetologia SID finalmente riuniti in presenza per gettare le basi della nuova assistenza diabetologica, ma anche per discutere delle nuove Linee Guida, delleultimissime novità terapeutiche di ‘Digital diabetes’ , ‘One health’ e Medicina di Genere.

Si inaugura oggi a Riccione ‘Panorama Diabete’, il Forum multidisciplinare e multidimensionale a cadenza biennale, organizzato dalla Società Italiana di Diabetologia. Nel corso del congresso, che si terrà da oggi al 30 novembre, verranno celebrati i 100 anni dalla scoperta dell’insulina con la presentazione di una cartolina celebrativa con uno speciale annullo postale, nell’ambito di una iniziativa di SID, AMD ed AIFA cui ha partecipato Poste Italiane. Questa cartolina verrà consegnata come riconoscimento simbolico ai ‘veterani’ del diabete, coloro che vivono bene con la malattia da oltre 50 anni e diventano quindi speciali testimonial degli incredibili progressi terapeutici fatti in questo campo. Per tutti, verrà pubblicamente ‘premiato’ un insegnante di Vasto (Chieti) che convive con questa condizione da oltre 65 anni.

Tanti gli argomenti sul tappeto nella quattro giorni di Riccione: da quelli clinico- scientifici (diabete e medicina di genere, diabete e ambiente, nuovi farmaci e nuovi device, Linee Guida, Digital Diabetes ), ‘contaminati’ dalle expertise di altri specialisti, a quelli politico-organizzativi. Tra questi ultimi protagonista assoluta è la riorganizzazione dell’assistenza diabetologica alla luce della missione 6 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ( Pnrr) e dell’esperienza della pandemia. “Noi diabetologi – afferma il professor Agostino Consoli , presidente SID – vogliamo essere parte attiva nella ridefinizione del nuovo piano assistenziale. Per questo, insieme ad AMD, abbiamo istituito un apposito tavolo tecnico consultivo, con il compito di elaborare proposte operative che aiutino a declinare le linee di indirizzo del PNRR in relazione al diabete”.

Al centro della missione 6 ‘Salute’ del Pnrr c’è il grande capitolo della ‘cronicità’, del quale il diabete è una parte importante. L’assistenza territoriale dovrà essere ridisegnata in un’ottica di medicina di prossimità, istituendo Case della Comunità, Ospedali di Comunità e avvalendosi sempre più di servizi di telemedicina. Ma per la gestione delle persone con diabete quale potrebbe essere la formula dell’assistenza ideale? “Ci auguriamo – afferma Consoli – che la rete dei centri diabetologici, che tanto ha contribuito al benessere delle persone con diabete in Italia, non venga relegata nelle Case di Comunità e magari ridimensionata, ridotta cioè alla presenza del solo diabetologo, anziché del team. Riteniamo opportuno creare anche sul territorio delle forti unità di diabetologia, che possono lavorare in rete e interagire con le Case di Comunità. È giusto che il paziente cronico venga assistito quanto più possibile fuori dall’ospedale, ma è necessario che soprattutto sul territorio possa trovare strutture specialistiche di diabetologia in grado di assisterlo in maniera ottimale e multidimensionale. Per questo riteniamo fondamentale creare e/o potenziare fortemente centri diabetologici hub , che rappresentino lo snodo essenziale di una rete digitale integrata, che consenta l’interazione efficace con la medicina generale e con tutti gli specialisti coinvolti a nella gestione delle persone con diabete”.

“ La omogeneità delle cure e dell’accesso ad esse – afferma Angelo Avogaro , presidente eletto della SID – è un diritto inalienabile dei cittadini affetti da diabete. Purtroppo esistono forti difformità a livello delle singole Regioni nella gestione delle malattie croniche. Per questo la SID auspica che in tutte le Regioni italiane, in modo uniforme, il cittadino interessato da questa malattia possa essere seguito da un team diabetologico completo e possa ricevere un counselling adeguato per ottimizzare lo stile di vita ed affrontare le problematiche poste dalla convivenza con la malattia. In tutte le persone affette dalla malattia dovrebbe non solo essere raggiunto un compenso metabolico ottimale attraverso l’impiego di farmaci innovativi con comprovata azione di protezione cardio- vasculo-renale, ma anche effettuato un periodico screening approfondito delle complicanze a lungo termine del diabete”. Questa omogeneità nell’assistenza delle persone con diabete è un elemento essenziale della tanto auspicata equità del nostro Servizio sanitario nazionale.

E in questo, la filosofia del Pnrr può venire in aiuto, dando omogeneità organizzativa e tecnologica all’assistenza territoriale ed estendendo così l’assistenza a fasce di popolazione al momento non raggiunte dallo specialista diabetologo; si stima che, oltre ai quasi 4 milioni di italiani con diabete, ve ne siano almeno altri 1,5-2 milioni ancora senza diagnosi, che sono cioè diabetici senza saperlo. Inoltre, solo una persona con diabete su 3 è attualmente assistita presso un centro diabetologico; una limitazione importante visto che al momento farmaci e device innovativi sono prescrivibili per lo più solo dagli specialisti. “La prevenzione del diabete e il suo trattamento – sostiene Avogaro – devono essere considerate strategiche.

Ecco perché – continua Avogaro – chiediamo da un lato che vengano fortemente potenziati i team diabetologici, dall’altro che si attui uno sforzo comune con la medicina generale per individuare e trattare tempestivamente i cittadini con nuova diagnosi di diabete, riferendoli, almeno per un primo inquadramento della patologia, ai servizi di diabetologia. Questi a loro volta dovranno collaborare in maniera efficace ed efficiente con il medico di medicina generale per una gestione integrata dell’assistito. In questo moderni strumenti tecnologici e informatici saranno di grande aiuto per seguire anche da remoto e con maggior continuità i pazienti con diabete, a rischio di complicanze o particolarmente fragili. Questo schema – conclude il professor Avogaro – avrà il vantaggio non solo di permettere al cittadino con diabete di essere comunque in contatto con lo specialista,ma anche di beneficiare di una più efficiente condivisione di dati e strategie tra diabetologo e medico di medicina generale”.

Ufficio Stampa SID

GIORNATA MONDIALE DEL DIABETE 2021.

La giornata mondiale del diabete cade il 14 novembre di ogni anno, ed é stata istituita nel 1991 dall’IDF e dall’OMS in omaggio alla data di nascita di Frederick Banting che ha scoperto l’insulina nel 1922.
Nel mese di novembre, in più di 60 paesi del mondo, si svolgono campagne di sensibilizzazione e prevenzione, dove vengono coinvolte associazioni di volontari, medici, infermieri e pazienti, proprio per far capire alla popolazione quanto importante sia la conoscenza per prevenire, diagnosticare tempestivamente e gestire al meglio questa malattia, che sta diventando una vera e propria pandemia.
Il blu é il colore scelto, a livello internazionale, come simbolo della GMD e, in questa giornata, si illuminano di blu ospedali e monumenti in moltissime città del mondo.

Municipio di Chioggia


L’Associazione diabetici di Chioggia ha richiesto l’illuminazione di blu, nelle giornate 12, 13 e 14 novembre, dello storico Palazzo Comunale del nostro antico borgo chioggiotto.
Sabato 13 novembre, dalle ore 7.30 alle ore 13.00, davanti al Palazzo Comunale in Corso del Popolo, è stato allestito un gazebo sia informativo, con la consegna di opuscoli, che di screening glicemico gratuito a tutta la popolazione. Sono state eseguite 225 glicemie e rilevate 10 persone con glicemia alta che non sapevano di averla. Questo a conferma di quanto sia il sommerso nella patologia diabetica, malattia alquanto subdola che spesso viene diagnosticata quando già le complicanze sono arrivate.

CENTRO PER IL PIEDE DIABETICO: PRESTATE CURE A 15 MILA PAZIENTI .

Si è svolto stamattina, in occasione della Diabetic Foot Awareness Week, l’incontro di presentazione del reparto, aperto nel 2003 e diventato un punto di riferimento regionale e nazionale.

Dalla sua apertura, nel 2003, il Centro per il Piede Diabetico del Policlinico Abano Terme si è preso cura di 15 mila pazienti. Il reparto, l’unico in Italia dotato di posti letto dedicati, eroga oltre 10 mila prestazioni l’anno tra visite e medicazioni ed effettua una media di 800 ricoveri. Sono questi alcuni dei dati evidenziati oggi durante la conferenza stampa svoltasi nella struttura sanitaria veneta in occasione della Diabetic Foot Awareness Week, promossa da D-Foot International (www.d-foot.org) per sensibilizzare la popolazione sull’offerta di servizi disponibili per la cura di questa complicanza della malattia diabetica. La significativa casistica, la presa in carico caratterizzata da un approccio multidisciplinare e la una corposa produzione di letteratura medico-scientifica hanno reso questo centro, nel tempo, un punto di riferimento regionale e nazionale.

Il bilancio dell’attività è stato presentato da Antonio Petruzzi, amministratore delegato del Policlinico Abano Terme, e da Enrico Brocco, direttore del Centro per il Piede Diabetico. All’incontro sono intervenuti anche Manuela Bertaggia, coordinatrice delle associazioni di pazienti diabetici del Veneto e vicepresidente della FAND – Associazione Italiana Diabetici, Maria Marangon, presidente dell’Associazione Diabetici di Chioggia, e Federico Barbierato, sindaco di Abano Terme.

Lo staff

“Il nostro Centro – ha sottolineato Antonio Petruzzi, amministratore delegato del Policlinico – offre un percorso di cure completo e una presa in carico multidisciplinare per il paziente affetto da piede diabetico in grado di trattare i casi più complessi, tanto che da anni rappresenta un punto di riferimento a livello regionale e nazionale. Vanta un’attività che ha consentito di pubblicare studi e articoli sulle più prestigiose riviste scientifiche nazionali e internazionali. Il Centro, inoltre, non ha mai smesso di lavorare neanche nel periodo più difficile della pandemia seguendo i pazienti e offrendo loro senza interruzione tutto il nostro know-how clinico, tecnologico e assistenziale”.

Il Centro nel dettaglio

Il reparto della struttura sanitaria di piazza Cristoforo Colombo è situato al piano terra e occupa l’intera area Blu, con ingresso dal varco 3, in modo da poter assicurare ai pazienti, spesso costretti in sedia a rotelle o in barella, un accesso senza ostacoli. Il Centro è dotato di ambulatori e di una sala operatoria. Inoltre, la sezione di Radiologia Interventistica dispone di due sale angiografiche dove vengono eseguite le rivascolarizzazioni endovascolari. Una delle due sale è ibrida, adatta cioè alle rivascolarizzazioni contemporanee chirurgica ed endovascolare qualora siano necessarie. La dotazione strumentale diagnostica, inoltre, è costituita da un ecografo con sonde vascolari e da due ossimetri transcutanei per misurare la saturazione di ossigeno a livello del piede.

Infine, l’équipe dell’unità operativa è costituita da 6 medici, 2 podologi, 2 responsabili infermieristici e gruppi infermieristici dedicati sia al reparto degenze che all’ambulatorio. Vi lavorano, in particolare, medici diabetologi o internisti con abilità chirurgiche, radiologi interventisti, ortopedici, podologi, infermieri e tecnici ortopedici. Il centro si avvale anche della consulenza di specialisti chirurghi vascolari, radiologi, infettivologi e nefrologi.

  “Quello del Policlinico Abano è un servizio di eccellenza del nostro territorio – ha dichiarato Federico Barbierato, sindaco di Abano Terme -, che evidenzia, numeri alla mano, l’impegno del Policlinico e dei suoi operatori per offrire le migliori cure alle persone affette da piede diabetico. E’ importante metterne in evidenza l’attività e creare sinergie con le istituzioni e le associazioni di riferimento. Un modo, questo, per orientare al meglio chi ne ha bisogno e i care-giver e dare risposte in termini di salute e presa in carico ai più alti livelli”.
Visita angiografia

La patologia

Il diabete è una delle malattie croniche più diffuse nei paesi industrializzati e può causare neuropatia periferica, con perdita di sensibilità al dolore e al calore, e complicanze vascolari agli arti inferiori (arteriopatia diabetica) che, se non curate adeguatamente, nel 15% dei pazienti possono dare origine a ulcere e lesioni della cute a rischio d’infezione. Il paziente deve dunque essere preso in carico precocemente, fin dall’esordio dei primi problemi, in quanto nei casi più gravi si può arrivare anche all’amputazione del piede e della gamba.

“Alla base della patologia – spiega il dottor Brocco – vi è la neuropatia sensitivo-motoria che causa insensibilità della cute dei piedi, alterando così i meccanismi di difesa contro i traumi, e atrofia dei muscoli con il risultato di modificare la forma dei piedi, creando aree di conflitto con il suolo e con le calzature”. Su tali aree solitamente si sviluppano ipercheratosi, che sono meccanismi cutanei di difesa, che, se non vengono rimosse, portano alla lesione della cute.

“L’eventuale presenza di ischemia critica – aggiunge lo specialista -, cioè di una riduzione di afflusso sanguigno causata dall’occlusione di un’arteria, impedisce una rapida guarigione e favorisce l’insorgenza di infezioni. In tal modo, da una lesione si rischia frequentemente di passare alla gangrena, ovvero una necrosi dei tessuti, con conseguenza gravi per il piede e talora per il paziente. Negli anni abbiamo trattato più di 15mila soggetti diabetici e l’analisi degli indicatori di risultato evidenzia che l’arto è stato salvato nel 95% dei casi, una percentuale che ci pone tra i primi centri in Italia”. Da ricordare, inoltre, che nei pazienti amputati, l’aspettativa di vita non supera i 5 anni.

Il fattore “tempo”

Per prevenire le conseguenze più invalidanti, è fondamentale poter valutare le lesioni nella loro fase precoce, in modo da mettere in atto il prima possibile gli interventi di correzione dei fattori di rischio.

La prevenzione primaria mira a rimuovere quelle che sono le condizioni pre-ulcerative prima che si formino lesioni o una volta che, curata una lesione, il paziente torni a deambulare. Ciò avviene nell’Ambulatorio di Podologia in cui vengono ispezionati i piedi, identificate e rimosse ipercheratosi o patologie ungueali, valutata la circolazione mediante esame obiettivo e tecniche strumentali.

“Qualora, invece, il paziente giunga alla nostra attenzione con una lesione o uno stato di patologia più avanzato già in atto – spiega il direttore del Centro -, si agisce procedendo alla diagnosi, all’identificazione delle condizioni patologiche in atto, ad esempio ischemia o infezione, intervenendo con la necessaria sollecitudine se non con urgenza già in ambulatorio con piccoli interventi di drenaggio delle infezioni, in attesa di poter ricoverare il paziente”.

Il ricovero

Nei casi più complessi è necessario il ricovero. Il Centro del Policlinico Abano Terme è l’unico in Italia che dispone di posti letto dedicati, che sono in totale 20. Una volta ricoverato, il paziente, a seconda delle necessità, viene sottoposto a trattamenti vascolari, chirurgici o farmacologici.

Si procede, infatti, con la rivascolarizzazione dell’arto malato qualora venga diagnosticata una situazione di stenosi o occlusione delle arterie. “Il radiologo interventista, mediante l’uso di particolari strumenti endovascolari, agisce all’interno delle arterie, le ripulisce e ripristina il lume arterioso. E’ importante sottolineare che oggigiorno si può, grazie alla disponibilità di strumentazioni all’avanguardia, e si deve cercare di arrivare a riaprire i vasi arteriosi fino al piede”, spiega il dottor Brocco.

La chirurgia si utilizza sia in caso di infezione – si suole dire “il bisturi è il miglior antibiotico” -, quando vi sono lesioni, quando è coinvolto l’osso sottostante, se vi sono deformità del piede e nelle fasi post-acute (chirurgia ricostruttiva).

Sia in fase acuta che in fase di prevenzione primaria e secondaria risulta fondamentale lo scarico delle lesioni, delle sedi di intervento o delle pressioni plantari. Ciò si può ottenere mediante tutori, calzature da medicazione, plantari da fase acuta o calzature predisposte o su misura con ortesi plantari su calco e la collaborazione stretta con il tecnico ortopedico risulta necessaria.

L’accesso al Centro

Il paziente può essere inviato dal diabetologo di fiducia o dal Medico di Medicina Generale o può prenotare tramite Cup. Il paziente, in caso di problemi all’arto, può fare un accesso diretto al Pronto Soccorso grazie a un Fast Track diagnostico-terapeutico che prevede la presa in carico diretta da parte dell’Ambulatorio e l’esecuzione di tutti i controlli del caso oltre che di un eventuale ricovero.