Diabete: nasce la figura del paziente esperto in fitwalking.

Il fitwalking non è una semplice passeggiata, ma un’attività motorio-sportiva per il fitness, la salute e il benessere da praticare in relax, divertendosi. Associata alle normali terapie mediche aggiunge i benefici – scientificamente determinati – dell’attività fisica alla gestione della malattia nelle persone con diabete. 

I pluri-campioni, e fratelli, Maurizio e Giorgio Damilano, con il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del progetto Cities Changing Diabetes, mettono a disposizione le loro conoscenze e metodologie sportive per formare, insieme alle associazioni delle persone con diabete e ai loro coordinamenti regionali, figure capaci di trasmettere una filosofia e insegnare una disciplina che va oltre il semplice stile di vita salutare. I corsi pilota a Milano, Roma, Bologna, Torino, Bari, nelle Marche e in Calabria. 

Che l’attività fisica sia un efficace strumento per la prevenzione e per la cura del diabete di tipo 2 è noto da oltre vent’anni. I benefici dell’attività di tipo aerobico riguardano tutti gli aspetti della sindrome metabolica e sono chiaramente documentati: la riduzione della massa grassa, soprattutto viscerale, l’aumento della sensibilità insulinica, la riduzione della pressione arteriosa, dell’emoglobina glicata, del colesterolo LDL, dei trigliceridi. I risultati complessivi di questi effetti sono la riduzione della mortalità per cause cardiovascolari compresa tra il 30 e il 60% nei vari studi epidemiologici e la riduzione della mortalità da tutte le cause. 

Partendo da questi presupposti medico-scientifici, Maurizio Damilano, il pluricampione olimpico e mondiale di marcia che insieme al fratello Giorgio, anch’egli marciatore di alto livello, ha dato vita in Italia, nel 2001, alla disciplina del fitwalking, e che in questi anni si è molto avvicinato al mondo del diabete, mettendo a disposizione della comunità medica e dei pazienti le sue competenze e metodologie sportive, ha ipotizzato la possibilità di formare “pazienti esperti in fitwalking”, capaci di insegnare alle persone con diabete come loro a sfruttare al meglio i benefici di questa attività fisica per migliorare il controllo della loro malattia. 

Il fitwalking, infatti, è un modo sportivo di camminare. Come sottolinea Maurizio Damilano: «Non è sufficiente camminare per fare al meglio la passeggiata, il trekking, lo sport, il tour culturale e turistico o l’attività salutistica, ma è necessario camminare bene, ossia camminare osservando una corretta meccanica del movimento, acquisita conoscendo e praticando la tecnica del fitwalking. Una tecnica semplice ma indispensabile per trasformare il normale camminare in forma sportiva e adatta a tutti.» 

L’idea è stata raccolta da Cities Changing Diabetes, progetto realizzato con il contributo di Novo Nordisk e per il quale Damilano e il suo team hanno già sviluppato specifici percorsi per camminare dedicati alle persone con diabete nell’ambito del programma di promozione salutistica e del territorio Città per Camminare e della Salute, realizzato con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Salute, del Ministero delle Regioni e del Turismo e dello Sport, della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, dell’Unione delle Province Italiane, del CONI e grazie al supporto dell’Agenzia Nazionale dei Giovani. 

Partita il 15 ottobre con un corso destinato a selezionati profili individuati dalle associazioni di persone con diabete e dai loro coordinamenti regionali di Marche, Calabria e delle Città metropolitane di Milano, Roma, Torino, Bologna e Bari, l’iniziativa proseguirà nel 2021, con l’obiettivo di formare, certificandone le competenze, la figura del “paziente esperto in fitwalking”. 

“La mia esperienza fatta sia con ASL CN1 che adesso presso la ASL Città di Torino di sfruttare la camminata a passo svelto – il fitwalking – in associazione alla terapia farmacologia e a una alimentazione corretta, mi ha permesso di osservare come questa attività motoria sia ideale per le persone con diabete, con un beneficio derivante dalla pratica indipendente dall’età del paziente e dalla durata della malattia. Si tratta di una attività che, se opportunamente modulata, può essere praticata da tutti senza controindicazioni. I benefici che si ottengono da una pratica sportiva costante, permettono una migliore qualità di vita dei pazienti associata spesso a una riduzione dei farmaci impiegati”, commenta Salvatore Endrio Oleandri, Direttore S.C. Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, ASL Città di Torino. 

Novo Nordisk Italia

Diabete tipo 2: 1 paziente su 3 ha una malattia cardiovascolare che nel 90 per cento è di natura aterosclerotica.

Presentati al Congresso EASD 2020 i risultati dello studio CAPTURE, il più grande studio epidemiologico al mondo sul rapporto tra diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari.

Una persona su 3 con diabete tipo 2 presenta una malattia cardiovascolare che nel 90 per cento dei casi è di natura aterosclerotica ossia causata dall’accumulo di colesterolo sulle pareti delle arterie, prima causa di infarto e ictus. Questi sono i principali risultati scaturiti dallo studio CAPTURE, presentato oggi da Novo Nordisk in occasione del congresso della società europea di diabetologia EASD. Lo studio CAPTURE ha valutato la prevalenza delle malattie cardiovascolari, il loro rischio e come vengono gestite nelle persone con diabete tipo 2. Primo nel suo genere, ha coinvolto circa 10.000 partecipanti provenienti da 13 paesi di tutto il mondo, raccogliendo dati sia dall’ambito specialistico diabetologico sia della medicina generale. Lo studio ha, inoltre, messo in luce come solo 2 persone su 10 con diabete tipo 2 e aterosclerosi ricevano un trattamento con farmaci di comprovato beneficio cardiovascolare.

“I risultati dello studio CAPTURE sono fondamentali per chiunque sia coinvolto nella cura di persone con diabete tipo 2. I dati evidenziano che, nonostante la prevalenza di aterosclerosi in questa popolazione sia elevata, la grande maggioranza dei pazienti non viene curata con i trattamenti che hanno dimostrato di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari”, ha sottolineato uno degli autori dello studio, la prof.ssa Ofri Mosenzon, della Diabetes Unit, Hadassah Medical Center in Israele. “È prioritario considerare le malattie cardiovascolari un fattore chiave nella gestione del diabete tipo 2. Le persone con diabete tipo 2 devono essere più consapevoli dei rischi ai quali vanno incontro e i medici devono effettuare uno screening attivo per tutti i fattori di rischio. Oggi, infatti, sono disponibili farmaci con benefici cardiovascolari comprovati, raccomandati anche dalle varie linee guida di trattamento”, aggiunge.

“Lo studio CAPTURE è una pietra miliare nella comprensione della malattia cardiovascolare nel diabete tipo 2, perché conoscere i numeri “attuali” di questa temibile complicanza rappresenta un punto di svolta per noi clinici impegnati nella cura del diabete, una base da cui partire per migliorare la vita del paziente gestendo correttamente la malattia” dichiara la Prof.ssa Giuseppina Russo del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale del Policlinico Universitario “G. Martino” di Messina e Global Scientific Leader dello studio.

“Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di disabilità e di morte tra le persone con diabete tipo 2. Fino a poco tempo fa, la natura del legame tra il diabete tipo 2 e le malattie cardiovascolari non era pienamente riconosciuta su scala globale”, ha commentato Stephen Gough, Chief Medical Officer di Novo Nordisk. “Con i risultati dello studio CAPTURE, Novo Nordisk si augura di contribuire a una maggiore comprensione della malattia e della sua gestione, e a far sì che gli operatori sanitari possano migliorare la cura del diabete, con maggiori benefici per i pazienti”, conclude.

Per ulteriori informazioni sullo studio CAPTURE, visitare il sito:

https://www.abstractsonline.com/pp8/#!/9143/presentation/485

https://www.abstractsonline.com/pp8/#!/9143/presentation/664

https://www.epresspack.net/novonordiskEASD2020/CAPTURE/

comunicato stampa Novo Nordisk Italia

Il diabete si può prevenire o anche invertire se si evita il sovrappeso.

Perdere peso potrebbe prevenire o addirittura invertire il diabete, indipendentemente dalla predisposizione genetica a sviluppare la condizione, secondo quanto emerso da una ricerca presentata al congresso della European Society of Cardiology (ESC) 2020.

Come evidenziato dai ricercatori, nel 2019 circa 463 milioni di persone in tutto il mondo soffrivano di diabete, principalmente (circa il 90%) di tipo 2, che raddoppia il rischio di malattia coronarica, ictus e morte per malattie cardiovascolari.

Obiettivi dello studio erano:

  1. valutare quanto si modifica il rischio di sviluppare diabete a tutti i livelli di punteggio poligenico (PGS) per la malattia in funzione dell’indice di massa corporea (BMI), che rappresenta la principale causa modificabile del diabete, così da stimare il rischio di sviluppare la condizione nel corso della vita
  2. comparare l’effetto del sovrappeso a lungo e a breve termine sul rischio di diabete a tutti i livelli di predisposizione genetica per identificare il trattamento ottimale per prevenire o invertire la malattia

«Dal momento che siamo nati con i nostri geni, potrebbe essere possibile individuare precocemente chi ha un’alta probabilità di sviluppare il diabete nel corso della vita», ha affermato il ricercatore principale e relatore al congresso Brian Ference, dell’Università di Cambridge (UK) e dell’Università di Milano. «Abbiamo condotto questo studio per scoprire se la combinazione del rischio ereditario e dell’indice di massa corporea potrebbe identificare le persone a maggior rischio di sviluppare la malattia. Gli sforzi di prevenzione potrebbero quindi concentrarsi su questi individui».

Maggiore BMI = maggiore rischio di diabete
Lo studio ha incluso oltre 445mila soggetti i cui dati e campioni biologici erano presenti nella UK Biobank, con età media di 57,2 anni e per il 54% donne. Il rischio ereditario di diabete è stato valutato utilizzando 6,9 milioni di geni. All’arruolamento sono stati misurati altezza e peso per calcolare l’indice di massa corporea (BMI), poi i partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi in base al rischio genetico di diabete e in cinque gruppi in base al BMI.

I partecipanti sono stati seguiti fino a un’età media di 65,2 anni. Durante quel periodo oltre 31mila persone hanno sviluppato il diabete di tipo 2.

I soggetti nel gruppo con BMI più alto (media 34,5 kg/m2) avevano un rischio di diabete 11 volte maggiore rispetto a quelli con BMI più basso (media 21,7). Avevano inoltre maggiori probabilità di sviluppare il diabete rispetto a tutti gli altri gruppi, indipendentemente dal rischio genetico. «I risultati indicano che il BMI è un fattore di rischio per il diabete molto più potente della predisposizione genetica» ha detto Ference.

La durata del sovrappeso non influisce
I ricercatori hanno quindi utilizzato metodi statistici per stimare se la probabilità di diabete nelle persone con un BMI elevato sarebbe stata ancora superiore se fossero state in sovrappeso per un lungo periodo di tempo, scoprendo che la durata di un BMI elevato non ha avuto un impatto sul rischio di sviluppare la malattia.

«Questo suggerisce che quando le persone superano una certa soglia di BMI le loro possibilità di diabete aumentano e rimangono allo stesso alto livello di rischio indipendentemente dal tempo in cui restano in sovrappeso» ha aggiunto, facendo presente che la soglia, ovvero il BMI al quale iniziano a sviluppare livelli di zucchero nel sangue anomali, è probabilmente diversa da persona a persona.

«I risultati indicano che la maggior parte dei casi di diabete potrebbe essere evitata mantenendo l’indice di massa corporea al di sotto del limite che innesca livelli anomali di zucchero nel sangue. Questo significa che per prevenire il diabete dovrebbero essere valutati con regolarità tanto il BMI quanto la glicemia. Quando cominciano a comparire i problemi glicemici è fondamentale impegnarsi per perdere peso» ha concluso. «Ridurre il peso corporeo nelle fasi iniziali, prima che si verifichi un danno permanente, potrebbe anche consentire di invertire il diabete».

Bibliografia

European Society of Cardiology. “Body mass index is a more powerful risk factor for diabetes than genetics.” ScienceDaily. ScienceDaily, 31 August 2020.

Fonte

Coronavirus potrebbe favorire lo sviluppo del diabete.

diabete e covid-19

Il caso, giovane con SARS-CoV-2 asintomatico divenuto diabetico.

Il coronavirus potrebbe influenzare la funzione del pancreas favorendo lo sviluppo del diabete: lo suggerisce il caso di un giovane paziente con infezione da SARS-CoV-2 asintomatica, che si è ammalato di diabete autoimmune o insulino-dipendente (diabete 1) proprio in concomitanza con l’infezione. Il caso è stato riferito sulla rivista Nature Metabolism da Matthias Laudes dell’Università Schleswig-Holstein di Kiel, in Germania.

Il diabete di tipo 1 è una malattia caratterizzata da una reazione immunitaria impropria che porta alla distruzione delle cellule del pancreas (beta-cellule) deputate a produrre insulina, l’ormone che regola la glicemia. Il giovane, i cui genitori avevano presentato i sintomi del covid-19 dopo un viaggio in Austria, è arrivato al pronto soccorso del Policlinico Schleswig-Holstein con tutti i sintomi del diabete di tipo 1 (sete e minzione eccessive, forte e rapida perdita di peso, affaticamento), poi confermato agli esami del sangue. Il giovane non presentava una predisposizione genetica a malattie autoimmuni come il diabete di tipo 1, né gli auto-anticorpi (quelli aberranti che attaccano il pancreas) tipicamente associati alla malattia. La concomitanza con l’infezione da SARS-CoV-2 fa pensare che il virus abbia disturbato la funzione pancreatica e favorito l’esordio del diabete. La possibilità è avvalorata dal fatto che le cellule del pancreas presentano gli stessi recettori che il virus usa per infettare l’uomo, in particolare le beta-cellule.

Diversi studi hanno suggerito un nesso tra covid-19 e comparsa del diabete, e questo caso clinico va nella stessa direzione, ma serviranno nuove evidenze per confermare il rapporto di causa-effetto tra SARS-CoV-2 e diabete.

“Si tratta di un caso interessante – commenta Francesco Purrello dell’Università di Catania, Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) che, pur con le limitazioni ovvie di un caso singolo, pone una ipotesi molto suggestiva. Infatti, che l’infezione da COVID possa infettare le cellule beta pancreatiche è ormai noto da mesi – aggiunge Purrello -; tuttavia, la peculiarità di questo caso risiede nel fatto che il deficit della secrezione insulinica indotto dal virus in questo ragazzo di 19 anni sembra essere stato così grave da causare distruzione rapida e massiva delle cellule beta pancreatiche, propria del diabete autoimmune. Ma in questo caso la distruzione è avvenuta in assenza degli autoanticorpi che si trovano in genere nel sangue di questi pazienti. Quindi l’ipotesi è che ci sia stato un danno diretto e massivo causato dal SARS-CoV-2 e non invece un danno mediato dagli autoanticorpi”, come è tipico del diabete 1, conclude.

Fonte

Diabete autoimmune dell’adulto (LADA): arrivano le istruzioni per l’uso per questa forma di diabete misconosciuta.

• Pubblicato sulla rivista Diabetes il primo documento di consenso dedicato a questa forma di diabete autoimmune dell’adulto, ancora poco conosciuta e spesso scambiata per diabete di tipo 2

• Il LADA, che colpisce il 10-15% dei soggetti erroneamente diagnosticati come diabete di tipo 2, da oggi ha finalmente le sue linee di indirizzo per la diagnosi e il trattamento

• Determinante per la redazione del documento è stato l’apporto degli esperti italiani e del Progetto di ricerca NIRAD, finanziato dalla Fondazione Diabete Ricerca e dalla Società Italiana di Diabetologia e coordinato dalla professoressa Raffaella Buzzetti.

Per la maggior parte delle persone esistono solo due tipi di diabete, il tipo 1 che colpisce i giovani ed è una malattia autoimmune, e il tipo 2, molto più frequente (90-95% di tutti i tipi di diabete) che colpisce dalla mezz’età in avanti. Ma in realtà, anche se poco note ai più, esistono diverse altre varianti di questa malattia. Il 10-15% circa di soggetti con diagnosi di diabete mellito tipo 2, ad esempio, è in realtà affetto dal diabete cosiddetto ‘LADA’, un acronimo che sta per ‘diabete autoimmune dell’adulto’. “Si tratta – spiega la professoressa Raffaella Buzzetti , coordinatrice del progetto NIRAD ( Non InsulinRequiring Autoimmune Diabetes ) finanziato dalla ‘Fondazione Diabete e Ricerca’ della Società Italiana di Diabetologia (SID) e ordinario di Endocrinologia preso l’Università ‘La Sapienza’ di Roma – di una forma particolare di diabete che insorge in età adulta, ma riconosce una patogenesi autoimmune, simile al diabete tipo 1 ad insorgenza giovanile, in quanto determinato dalla distruzione delle cellule pancreatiche che producono insulina da parte del proprio sistema immunitario”.

A differenza del diabete di tipo 1 però il LADA ha una evoluzione più lenta; chi ne è affetto può arrivare alla terapia con insulina anche dopo molti anni dalla diagnosi. “Per porre diagnosi di LADA – prosegue la professoressa Buzzetti – cosa certamente rilevante in quanto il trattamento di questa forma di diabete è diverso da quello del diabete tipo 2, è necessario evidenziare la presenza degli autoanticorpi diretti verso le cellule pancreatiche che producono insulina (si fa attraverso un esame del sangue).

La caratterizzazione di questa forma di diabete è stata possibile negli ultimi anni anche grazie ai numerosi lavori scientifici pubblicati su riviste internazionali nell’ambito del progetto italiano NIRAD. Fino ad oggi non esistevano tuttavia linee guida dedicate a questa​forma di diabete ancora poco conosciuta. Una lacuna adesso colmata da una pubblicazione su Diabetes , organo ufficiale dell’ American Diabetes Association . “Un panel internazionale di esperti di diabete e metabolismo – spiega la professoressa Buzzetti, che è il primo autore del documento – ha siglato una consensus sulla terapia del LADA, pubblicata Diabetes . C’era assoluta necessità di fornire indicazioni precise circa la terapia di questa forma di diabete.

E’ molto importante porre una corretta diagnosi del tipo di diabete: in particolare, riconoscere il LADA in un soggetto precedentemente considerato affetto da diabete tipo 2, può comportare un cambiamento anche sostanziale della sua terapia che consentirà di ottenere un significativo miglioramento del controllo metabolico e di fare una corretta prevenzione delle complicanze croniche”. L’algoritmo proposto dagli autori della consensus , che si basa sulla valutazione della riserva insulinica del soggetto con diabete autoimmune, ottenibile con un semplice dosaggio su prelievo di sangue indirizza verso la terapia più appropriata.

“Attualmente – conclude la professoressa Buzzetti – sono molte le classi di farmaci a disposizione del diabetologo per la cura del diabete, ma soltanto una diagnosi precisa permette di prescrivere al paziente una terapia personalizzata. Nel caso del LADA, il trattamento prevede in una prima fase l’utilizzo di farmaci ipoglicemizzanti in grado di preservare la funzione delle cellule pancreatiche che producono insulina; sarà quindi necessario ricorrere alla terapia insulinica, il più precocemente possibile, qualora la funzione delle cellule beta pancreatiche risulti già compromessa. In questo modo sarà possibile prevenire le complicanze del diabete quali infarto, ictus, insufficienza renale”.

“ Aiutare e finanziare la ricerca in ambito diabetologico – afferma il professor Francesco Purrello , presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – è una delle missioni principali della nostra società scientifica e della Fondazione Diabete Ricerca ad essa correlata, e il LADA è stato uno dei principali temi di ricerca finanziato da diversi anni. Questo ha consentito di creare una rete di centri di diabetologia sparsi nel territorio nazionale e coordinata dalla professoressa Buzzetti, che ha prodotto un enorme numero di dati clinici e scientifici. Un orgoglio per la SID avere contribuito in modo rilevante alle conoscenze attuali su questo tipo di diabete”.

Management of Latent Autoimmune Diabetes in Adults: A Consensus Statement From an International Expert Panel Raffaella Buzzetti , TiinamaijaTuomi , DidacMauricio , Massimo Pietropaolo , Zhiguang Zhou , Paolo Pozzilli , Richard David Leslie Diabetes 2020 Aug; dbi200017. https://doi.org/10.2337/dbi20-0017

Ufficio stampa Sid

Estate e diabete: i consigli pratici per evitare problemi.

In un precedente articolo abbiamo parlato di come l’estate influenzi il controllo glicemico e la gestione del diabete. Oggi, partendo dalle Linee Guida nazionali ed internazionali, riportiamo le indicazioni pratiche per affrontare al meglio questa stagione.

La bella stagione porta con sé una serie di attività divertenti e salutari, ma anche nuove condizioni climatiche e abitudini quotidiane a cui il nostro organismo deve adattarsi. Tutto ciò è un po’ più difficile se si soffre di diabete. Per questo, la Società Italiana di Diabetologia (SID) ed i Centers for Disease Control and Prevention (CDC – l’agenzia statunitense che vigila sulla sanità pubblica) hanno redatto una lista di raccomandazioni utili per affrontare al meglio l’estate. Li riassumiamo, suddividendoli in quattro categorie principali.

Alimentazione e idratazione

La prima raccomandazione estiva è valida per tutti, non solo per chi soffre di diabete: bere abbondante acqua. Come è noto, infatti, le alte temperature provocano più facilmente la perdita di liquidi attraverso vari meccanismi tra cui la sudorazione. Le persone affette da diabete, però, hanno almeno due motivi in più per disidratarsi: in primo luogo, l’elevata glicemia può stimolare l’eliminazione di urine; inoltre, alcuni farmaci frequentemente prescritti (come gli inibitori SGLT-2 o i diuretici) hanno proprietà che favoriscono l’escrezione urinaria di glucosio e liquidi. Come reintegrare i liquidi persi? La bevanda migliore è l’acqua, seguita dal tè fatto in casa e non zuccherato. Occorre ovviamente evitare le bevande zuccherate, ma non solo: anche quelle etichettate come “senza zucchero” possono contenere sostanze zuccherine occulte oppure i cosiddetti “edulcoranti”, sostanze chimiche il cui effetto a lungo termine sull’organismo è ancora ignoto. Stesso discorso per le bibite reidratanti arricchite con sali minerali: spesso contengono anche zuccheri.

Non si vive di soli liquidi: a volte, in vacanza, resistere alle tentazioni alimentari può essere arduo. Tuttavia, con le ampie disponibilità del mondo di oggi, non è impossibile togliersi qualche sfizio senza danneggiare la propria salute. Si può approfittare dell’occasione vacanziera per incrementare il consumo di pesce, verdure e frutta, invece che di dolciumi, zuccheri e grassi.

Esposizione al sole e attività fisica

L’attività fisica è una componente fondamentale nella gestione del diabete, ma in estate bisogna fare attenzione ad evitare le temperature estreme: meglio svolgere esercizio all’aperto nelle ore più fresche (al mattino o alla sera) ed evitare le attività troppo intense se non si è allenati. Nessun problema, invece, se l’attività viene svolta in luoghi freschi e condizionati come le palestre. Ottima la pratica del nuoto, che mette in movimento tutti i muscoli in un contesto fresco e refrigerante. Dopo l’attività fisica, è necessario reintegrare i liquidi e i sali minerali persi tramite l’alimentazione e idratazione. Attenzione: l’insulina tende a essere assorbita più rapidamente dopo che si è stati impegnati in un esercizio fisico.

Anche per esporsi al sole è utile ricordare alcune facili norme che possono evitare, in seguito, problemi rilevanti. Il diabete può provocare danni a carico di nervi e vasi sanguigni che possono inficiare il meccanismo della sudorazione, rendendo più difficile la dispersione del calore corporeo ed esponendo al rischio di “colpi di calore. Il rischio è ancora più elevato quando alle alte temperatura si associa un’elevata umidità: normalmente, infatti, il sudore evapora dalla pelle portando via con sé una parte di calore corporeo, ma in condizioni di importante umidità questo meccanismo viene meno. È quindi fondamentale evitare di esporsi al sole quando calore e umidità sono estremi, indossare vestiti leggeri e traspiranti e ricordarsi di reintegrare regolarmente i liquidi persi, anche quando non si avverte sete.

Una menzione particolare meritano inoltre le ustioni solari e le ferite: negli individui affetti da diabete esse possono complicarsi con pericolose infezioni. Le ustioni, inoltre, possono aumentare la glicemia. È pertanto necessario utilizzare adeguate protezioni solari e fare attenzione alle piccole lesioni della cute, soprattutto se riguardano i piedi. Chi soffre di diabete, infatti, spesso riporta danni ai nervi che provocano una ridotta sensibilità a livello dei piedi: questo rende più facile ferirsi senza avvertire dolore, e complica la guarigione delle lesioni. Le Linee Guida raccomandano di non camminare scalzi e di indossare ciabatte morbide al mare. In caso di lesioni cutanee, non trascurarle ed evitare il “fai da te”, per non incorrere in conseguenze molto più gravi.

Non abbandonare il monitoraggio glicemico

Durante le vacanze, l’attività fisica e l’alimentazione possono variare. La sregolazione delle abitudini nutrizionali può modificare il controllo glicemico in eccesso o in difetto. Dall’altra parte, il maggior esercizio fisico può far consumare più glucosio, esponendo al rischio di ipoglicemia. Attenzione inoltre: uno dei sintomi cardine dell’ipoglicemia, che è la sudorazione, può essere misconosciuto se confuso con una normale reazione alle alte temperature, ritardando il riconoscimento ed il trattamento di questa complicanza. Anche e soprattutto in estate è fondamentale controllare periodicamente la glicemia e tenere sempre con sé una fonte di zuccheri a rapido assorbimento per contrastare l’eventuale ipoglicemia.

I ritmi quotidiani cambiano inevitabilmente nel corso dell’estate: basti pensare che il riposo e la riduzione dello stress possono provocare, da soli, un abbassamento della glicemia. Anche la pressione arteriosa risente dei cambiamenti legati alle vacanze: il soggiorno in ambienti caldi tende ad abbassarla, mentre l’alta quota potrebbe farla salire. Per questo bisogna essere pronti a modificare la terapia in atto (non solo farmaci anti-diabetici, ma anche eventualmente anti-ipertensivi) secondo le prescrizioni del proprio medico curante.

Portare con sé e conservare i farmaci

Prima di partire per un viaggio, è necessario procurarsi scorte di farmaci e glucometri sufficienti per l’intera vacanza, aumentandole prudenzialmente del 20-30% per far fronte ad eventuali emergenze. Questa misura è particolarmente importante se ci si reca all’estero, in zone in cui l’approvvigionamento potrebbe rivelarsi difficile. Ricordiamo che l’insulina è un farmaco salvavita per le persone con diabete mellito di tipo 1, ed è un farmaco necessario per un quarto delle persone con diabete mellito di tipo 2.

Ulteriore cura va prestata nella corretta conservazione dei presidi. I flaconi di insulina e i farmaci ipoglicemizzanti orali hanno precise indicazioni riportate sul foglietto illustrativo; in generale, meglio non esporli al calore e, durante un lungo viaggio, riporli in un refrigeratore (ma non a diretto contatto con il ghiaccio).

Neanche il glucometro e le strisce reattive per la misurazione della glicemia amano il caldo: lasciarli in una macchina esposta al sole o sulla spiaggia può danneggiarli irreparabilmente e rendere inaffidabili le misurazioni.

Il diabete è una malattia cronica e complessa, ma gli strumenti in nostro possesso ci permettono di gestirla con sempre maggior efficacia e precisione. Seguendo alcuni accorgimenti, è possibile godere della bella stagione in sicurezza e serenità.

Fonte Medicalfacts