OBESITÀ: UN TREND IN CONTINUA CRESCITA IN ITALIA.

In Italia sovrappeso e obesità interessano 1 adulto su 2, con un aumento di incidenza del 30 per cento nell’arco degli ultimi 30 anni. Emerge il ruolo chiave del territorio di origine

Presentata a Roma dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, la seconda edizione dell’Italian Obesity Barometer Report realizzato in collaborazione con Istat.

In Italia, la prevalenza di persone in sovrappeso e con obesità cresce al crescere dell’età, tanto che se l’eccesso di peso riguarda 1 minore su 4, la quota quasi raddoppia tra gli adulti, raggiungendo il 46,1 per cento tra le persone di 18 anni e oltre. La prevalenza maggiore si riscontra in entrambi i generi nella classe 65-74 anni (61,1 per cento) e, mentre la maggioranza degli uomini presenta un eccesso ponderale già a partire dai 45 anni, per le donne ciò si verifica dopo i 65 anni. Negli ultimi 30 anni, inoltre, è stato registrato un aumento di incidenza dell’eccesso di peso pari al 30 per cento ed emerge prepotentemente il ruolo del territorio di origine. Questi sono alcuni degli aspetti evidenziati dal rapporto Istat realizzato per il secondo Italian Obesity Barometer Report che verrà presentato oggi in occasione del 2nd Italian Obesity summit – Changing ObesityTM meeting. Organizzato dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) con l’Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete” e OPEN Italia – Obesity Policy Engagement Network, l’evento ha il patrocinio di Ministero della Salute, ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani, Istituto Superiore di Sanità, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del progetto internazionale Changing Obesity.

Il Rapporto mostra come l’Italia, pur presentando livelli di obesità e sovrappeso meno allarmanti rispetto agli altri paesi europei, registri un aumento dell’incidenza di sovrappeso e obesità del 30 per cento negli ultimi 30 anni, di cui solo un terzo possa essere attribuito all’invecchiamento della popolazione. «I confronti temporali, analizzati per genere e classe di età tra gli adulti hanno evidenziato degli incrementi specifici, in particolare tra le donne dai 18 ai 45 anni (in media +15 per cento) e per le persone dai 75 anni in entrambi i generi, dove per gli uomini si riscontra addirittura un aumento del 20 per cento. Per l’obesità le differenze di genere si sono leggermente acuite nel tempo, in quanto l’aumento ha riguardato in misura maggiore gli uomini, soprattutto a partire dai 55 anni» scende maggiormente nel dettaglio Roberta Crialesi, Dirigente del Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia di ISTAT «L’analisi temporale evidenzia anche che la geografia è rimasta inalterata con lo svantaggio dell’area meridionale, pur aumentando in misura maggiore in alcune regioni del Nord: in Liguria e Valle d’Aosta, ad esempio, si è registrato un aumento dell’eccesso di peso superiore al 10 per cento, in Lombardia e in Piemonte l’incremento è stato doppio rispetto a quello della media nazionale del 4 per cento. Per l’obesità aumenta la prevalenza di oltre il 30 per cento nelle regioni Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna al Nord, Umbria e Calabria al Centro-Sud, a fronte di un incremento medio a livello Italia del 17 per cento», aggiunge.

Analizzando i fattori socio-culturali, il rapporto mette in luce un elemento sin qui poco sottolineato: la relazione tra l’eccesso di peso e il luogo di origine dell’individuo. Esiste infatti un legame con aspetti influenti, come, ad esempio, il rapporto con il cibo o l’adozione di modelli alimentari e stili di vita acquisiti e radicati nella zona di nascita prima di diventare adulti, tanto che nelle regioni del Centro-Nord le prevalenze dell’eccesso di peso delle persone nate nel Mezzogiorno sono superiori al dato medio regionale. Per esempio, in Piemonte dove oltre il 15 per cento degli adulti residenti ha dichiarato di essere nato in una regione del Mezzogiorno, l’eccesso ponderale delle persone che sono migrate è più elevato del 30 per cento rispetto al dato medio piemontese. Viceversa, nelle regioni del Mezzogiorno, sebbene le prevalenze siano riferite a un campione molto più ristretto per la minore consistenza delle migrazioni da Nord a Sud, le prevalenze delle persone nate al Centro-Nord si collocano sempre al di sotto della media regionale.

«L’Italian Obesity Barometer Report 2020, realizzato da IBDO Foundation in collaborazione con ISTAT e CORESEARCH e il contributo di esperti, evidenzia non solo i dati italiani e globali dell’obesità, ma prende anche in esame le politiche sanitarie di contrasto all’obesità intraprese in Italia permettendo una analisi critica che permette di evidenziare i risultati e i limiti delle strategie attuate. L’ambizione del report e dell’azione complessiva dell’IBDO Foundation è quello di animare il dibattito tra i vari “attori” coinvolti nella lotta all’obesità, partendo dai dati disponibili, per arrivare a trovare soluzioni che migliorino la qualità di vita delle persone con obesità» dice Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation.

«L’obesità è una patologia cronica multifattoriale che richiede una gestione di lungo termine che però spesso viene considerata come responsabilità del singolo, una scelta di stile di vita dovuta a una scarsa auto-disciplina e a una mancanza di motivazione. Questa convinzione, fortemente presente nell’opinione pubblica, persino osservata negli operatori sanitari che sono stati individuati come la seconda fonte più frequente di stigma nei confronti del peso dopo i familiari. Il pregiudizio sul peso tra gli operatori sanitari impedisce il rapporto emozionale con i pazienti, aspetto che può portare alla mancanza di diagnosi e di sostegno e, di conseguenza, a un efficace intervento per la gestione del peso. La barriera a una cura efficace non è solo conseguenza dello stigma. Per le persone con eccesso di peso, la stigmatizzazione è associata ad una maggiore sofferenza psicologica e a un’obesità più grave» sottolinea Paolo SbracciaVice Presidente IBDO Foundation e Professore Ordinario di Medicina Interna dell’Università di Roma “Tor Vergata” che ha coordinato l’Italian Obesity Barometer Report.

«Per affrontare e vincere la sfida contro l’obesità, i cui costi relativi a livello globale sono in aumento e sovrapponibili a quelli derivati dalle guerre, dal terrorismo e all’uso delle armi, non è più possibile continuare ad agire a silos, dove ognuno è depositario di un pezzo della cosiddetta “verità”» afferma Andrea Lenzi, Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Coordinatore Italia dell’Obesity Policy Engagement Network (OPEN) «È necessario passare dalla creazione di network virtuali a quello di network virtuosi, in grado di integrare saperi e competenze, dove le Istituzioni debbono colloquiare con i clinici e le Università, con il tessuto sociale e con l’industria in un modello moderno di cross-sector partnership. Per questo l’Italian Obesity Barometer Report annualmente ha il merito di consentirci di approfondire l’impatto che questa malattia ha nel nostro Paese».

Parlare di obesità oggi assume un significato ancora più importante in quanto, come sottolinea la World Obesity Federation (WOF), “Il coronavirus può causare sintomi e complicazioni più gravi nelle persone con condizioni legate all’obesità”. Per questo motivo, lo scorso maggio è stata inviata al Ministro della Salute Speranza e a tutti i rappresentanti delle Istituzioni coinvolte, per il tramite dell’On. Roberto Pella, Presidente Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete e Vicepresidente vicario ANCI, una Lettera Aperta. Il documento, sottoscritto da tutte le società scientifiche e associazioni di pazienti e cittadinanza, ha inteso sottolineare l’urgenza di atti a tutela delle persone con obesità, ancor più fragili durante la pandemia per ragioni legate a difficoltà di convivenza con un ambiente obesogeno e all’interruzione delle cure o delle visite.

«L’obesità è un problema molto rilevante di salute pubblica e di spesa per i sistemi sanitari nazionali. Si tratta di un’analisi condivisa da tutti, nelle proporzioni che oggi vediamo illustrate, che impone una presa di consapevolezza da parte dei decisori politici a tutti i livelli istituzionali. Dall’approvazione all’unanimità, avvenuta lo scorso 13 novembre 2019 presso la Camera dei Deputati, della Mozione che impegna il Governo ad adottare azioni per la prevenzione e la cura dell’obesità, richiedendo in primis il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica, è trascorso quasi un anno: oggi chiediamo ulteriori e nuovi sviluppi, a partire dall’inserimento della malattia nei LEA, che garantirebbe pieno accesso alle cure e ai trattamenti, e da una campagna mediatica nazionale contro lo stigma sociale che coinvolga il mondo dell’informazione, dello sport, della scuola, dei comuni», conclude Roberto Pella.

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HealthCom Consulting

Il diabete si può prevenire o anche invertire se si evita il sovrappeso.

Perdere peso potrebbe prevenire o addirittura invertire il diabete, indipendentemente dalla predisposizione genetica a sviluppare la condizione, secondo quanto emerso da una ricerca presentata al congresso della European Society of Cardiology (ESC) 2020.

Come evidenziato dai ricercatori, nel 2019 circa 463 milioni di persone in tutto il mondo soffrivano di diabete, principalmente (circa il 90%) di tipo 2, che raddoppia il rischio di malattia coronarica, ictus e morte per malattie cardiovascolari.

Obiettivi dello studio erano:

  1. valutare quanto si modifica il rischio di sviluppare diabete a tutti i livelli di punteggio poligenico (PGS) per la malattia in funzione dell’indice di massa corporea (BMI), che rappresenta la principale causa modificabile del diabete, così da stimare il rischio di sviluppare la condizione nel corso della vita
  2. comparare l’effetto del sovrappeso a lungo e a breve termine sul rischio di diabete a tutti i livelli di predisposizione genetica per identificare il trattamento ottimale per prevenire o invertire la malattia

«Dal momento che siamo nati con i nostri geni, potrebbe essere possibile individuare precocemente chi ha un’alta probabilità di sviluppare il diabete nel corso della vita», ha affermato il ricercatore principale e relatore al congresso Brian Ference, dell’Università di Cambridge (UK) e dell’Università di Milano. «Abbiamo condotto questo studio per scoprire se la combinazione del rischio ereditario e dell’indice di massa corporea potrebbe identificare le persone a maggior rischio di sviluppare la malattia. Gli sforzi di prevenzione potrebbero quindi concentrarsi su questi individui».

Maggiore BMI = maggiore rischio di diabete
Lo studio ha incluso oltre 445mila soggetti i cui dati e campioni biologici erano presenti nella UK Biobank, con età media di 57,2 anni e per il 54% donne. Il rischio ereditario di diabete è stato valutato utilizzando 6,9 milioni di geni. All’arruolamento sono stati misurati altezza e peso per calcolare l’indice di massa corporea (BMI), poi i partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi in base al rischio genetico di diabete e in cinque gruppi in base al BMI.

I partecipanti sono stati seguiti fino a un’età media di 65,2 anni. Durante quel periodo oltre 31mila persone hanno sviluppato il diabete di tipo 2.

I soggetti nel gruppo con BMI più alto (media 34,5 kg/m2) avevano un rischio di diabete 11 volte maggiore rispetto a quelli con BMI più basso (media 21,7). Avevano inoltre maggiori probabilità di sviluppare il diabete rispetto a tutti gli altri gruppi, indipendentemente dal rischio genetico. «I risultati indicano che il BMI è un fattore di rischio per il diabete molto più potente della predisposizione genetica» ha detto Ference.

La durata del sovrappeso non influisce
I ricercatori hanno quindi utilizzato metodi statistici per stimare se la probabilità di diabete nelle persone con un BMI elevato sarebbe stata ancora superiore se fossero state in sovrappeso per un lungo periodo di tempo, scoprendo che la durata di un BMI elevato non ha avuto un impatto sul rischio di sviluppare la malattia.

«Questo suggerisce che quando le persone superano una certa soglia di BMI le loro possibilità di diabete aumentano e rimangono allo stesso alto livello di rischio indipendentemente dal tempo in cui restano in sovrappeso» ha aggiunto, facendo presente che la soglia, ovvero il BMI al quale iniziano a sviluppare livelli di zucchero nel sangue anomali, è probabilmente diversa da persona a persona.

«I risultati indicano che la maggior parte dei casi di diabete potrebbe essere evitata mantenendo l’indice di massa corporea al di sotto del limite che innesca livelli anomali di zucchero nel sangue. Questo significa che per prevenire il diabete dovrebbero essere valutati con regolarità tanto il BMI quanto la glicemia. Quando cominciano a comparire i problemi glicemici è fondamentale impegnarsi per perdere peso» ha concluso. «Ridurre il peso corporeo nelle fasi iniziali, prima che si verifichi un danno permanente, potrebbe anche consentire di invertire il diabete».

Bibliografia

European Society of Cardiology. “Body mass index is a more powerful risk factor for diabetes than genetics.” ScienceDaily. ScienceDaily, 31 August 2020.

Fonte