Diabete: indice glicemico e carico glicemico.

L’indice glicemico di un alimento rappresenta la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all’assunzione di quell’alimento.

L’indice è espresso in termini percentuali rispetto alla velocità con cui la glicemia aumenta in seguito all’assunzione di un alimento di riferimento (che ha indice glicemico 100): un indice glicemico di 50 vuol dire che l’alimento innalza la glicemia con una velocità che è pari alla metà di quella dell’alimento di riferimento.

I due alimenti di riferimento più utilizzati sono il glucosio e il pane bianco: è quindi possibile trovare indici diversi per lo stesso alimento: quando si confrontano gli indici glicemici di due alimenti (ricavati da fonti diverse) occorre accertarsi che siano calcolati in base allo stesso alimento di riferimento.Per calcolare l’indice glicemico rispetto al pane bianco basta moltiplicare per 1,37 quello calcolato rispetto al glucosio.

A tal proposito, gli alimenti contenenti carboidrati, vengono classificati e divisi in base alla capacità che hanno di stimolare la secrezione di insulina dopo loro digestione. Pertanto, ogni singolo cibo contenente carboidrati ha un diverso impatto sia sulla glicemia sia sull’insulinemia.

Per esempio, gli spaghetti, avendo un indice glicemico (espresso in percentuali) del 50%-59%, rispetto al pane bianco (100%), a parità di peso, determinerà un innalzamento della glicemia e di conseguenza dell’insulinemia più bassa; mentre lo produrrà più alto rispetto ad esempio ai legumi (con indice glicemico 20-29%) e cosi via.

L’indice glicemico cambia a seconda della varietà dell’alimento. In molti casi tale variabilità è modesta, in altri è talmente alta che il valore perde di ogni significato. È il caso del riso (48-112), del pane bianco (30-110), delle patate bollite (56-101).

L’indice glicemico varia a seconda del grado di maturazione. Anche in questo caso, per alcuni alimenti la variazione è notevole e rende il valore poco significativo.

Negli alimenti cucinati, l’indice glicemico varia a seconda degli ingredienti e della preparazione. Questo fatto implica che non si può determinare in modo sufficientemente preciso l’indice glicemico di un alimento cucinato in ambiente domestico o un alimento confezionato che non sia stato scelto come campione. Infatti nella tabella di riferimento viene sempre indicata la marca del prodotto testato.

Le considerazioni utili che si possono fare sull’indice glicemico sono le seguenti.

1) L’indice glicemico diminuisce se si aggiungono grassi ad un alimento. Questo fenomeno è dovuto al fatto che la digestione dell’alimento al quale sono stati aggiunti i grassi è più lenta, e quindi i carboidrati che contiene vanno in circolo più lentamente. Questo fatto si può verificare facilmente, basta confrontare (per esempio) il latte scremato e il latte intero. Quindi a volte non è sempre vero che un alimento “light” sia migliore del corrispondente “normale”, poichè potrebbe essere meno saziante (questo è particolarmente vero per lo yogurt).

2) L’indice glicemico diminuisce se si aggiungono proteine ad un alimento, per lo stesso motivo del punto 1.

3) Il rilascio totale di insulina non dipende dall’indice glicemico ma dal carico glicemico, ovvero dal prodotto tra indice glicemico e la quantità di carboidrati ingerita.

Per fare un esempio, due diete contenenti una 200 grammi di carboidrati a indice glicemico medio di 60 e l’altra di 150 g di carboidrati con indice glicemico di 80 hanno lo stesso carico glicemico (150Х80=12000, 200 Х60=12000).

Numerosi studi hanno valutato l’indice glicemico nella pratica clinica, con risultati talvolta positivi, altre volte più deludenti; il principio dell’attenuazione dell’iperglicemia post-prandiale è stato peraltro cavalcato in numerosi trials , spesso con risultati positivi sulla prevenzione del diabete e delle patologie cardiovascolari.

Volendo tradurre in consigli queste considerazioni, si scopre che chi segue una alimentazione equilibrata non aggiunge nulla al suo comportamento alimentare. Infatti:-> in una alimentazione equilibrata, composta da una quantità di carboidrati non superiore al 55% delle calorie giornaliere, dove quindi i grassi e le proteine non vengono demonizzati;-> in una alimentazione che ripartisce carboidrati, proteine e grassi in modo uniforme (ma non maniacale) nell’arco della giornata;-> in una alimentazione che consente il mantenimento del peso corporeo, e che quindi deve essere composta da alimenti sazianti; il carico glicemico è automaticamente sotto controllo, poiché la quantità di carboidrati è sotto controllo, e i grassi e le proteine, nonché l’assunzione di alimenti sazianti come verdura e frutta, contribuiscono ad abbassare l’indice glicemico anche dei cibi più a rischio.

Diventa perciò inutile dare eccessiva importanza all’indice glicemico.

Attenzione! Questo non significa che una fonte di carboidrati vale l’altra, ma che è assurdo ragionare su differenze minime o impostare un intero modello alimentare sull’indice glicemico. In parole povere, discriminare tra riso, pasta e patate non ha molto senso a parità di quantità, ha senso invece discriminare tra pasta e pasta integrale, o tra ciliegie e cocomeri, tra zucchero e fruttosio.

Farro ubriaco con salsiccia.

Il farro è considerato la più antica tipologia di frumento coltivato. Veniva utilizzato dall’uomo per la propria alimentazione già nel Neolitico.

il farro è un cereale ottimo per chi vuole dimagrire: le fibre e il basso indice glicemico aumentano il senso di sazietà, inoltre 100 grammi di farro contengono 335 calorie rispetto alle 353 della pasta. L’ideale sarebbe mangiare 140 grammi di farro con verdure, almeno 150 grammi, e concludere il pasto con un frutto.

Favorisce la digestione e combatte la stitichezza: la sua digeribilità è maggiore rispetto a quella di grano duro e grano tenero e per questo motivo contrasta la comparsa di gastriti e problemi allo stomaco; inoltre le sue proprietà lassative lo rendono un ottimo alimento per chi soffre di stitichezza. Il farro ha anche proprietà depurative: evita il ristagno della bile nell’intestino favorendo l’evacuazione, aiutando anche a prevenire tumori dell’apparato intestinale.

Utile a chi soffre di diabete:il farro è un alimento consigliato anche a chi soffre di diabete dal momento che il suo indice glicemico è inferiore a quello di riso, pane e pasta. Riesce quindi a mantenere sotto controllo la glicemia aiutando anche a prevenire il diabete di tipo 2 prevenendo anche il rischio di ischemie, insulino-resistenza e obesità.

Abbassa il colesterolo e aiuta il cuore: i fitoestrogeni contenuti nel farro aiutano a ridurre il colesterolo cattivo (LDL) nel sangue, aumentano anche l’elasticità dei vasi sanguigni. Inoltre ferro e rame aiutano la produzione di globuli rossi migliorando così la circolazione del sangue. I lignani e la niacina sono importanti per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.Informazioni nutrizionali per porzione

Valore energeticoper porzioneKCalKJoule
4071701
MacronutrientiQtàRipartizione
Proteine alto valore biologico6 gr
Proteine15 gr15%
Carboidrati40 gr41%
Grassi19 gr44%
Tipo di grassiQtàRapportoSat/Mono/Poli
Saturi5.6 gr1:1.9:0.5
Monoinsaturi11.0 gr
Polinsaturi3.0 gr
Altri nutrientiQtà% RDA
Colesterolo29 mg10 %
Fibre4 gr16 %
Sodio426 mg18 %
Ingredienti per 4 porzioni (1 porzione)
Olio di oliva extra vergine30 gr (8)
Cipolle80 gr (20)
Salsiccia di suino, fresca150 gr (38)
Vino rosso150 gr (38)
Farro230 gr (58)
1 rametto rosmarinoacqua 700 gr1 dado di carne1 pizzico pepe nero
Preparazione
Mettete a soffriggere la cipolla e il rosmarino. Unite la salsiccia e insaporite. Aggiungete il farro e il vino ROSSO e sfumate.Unite l’acqua e il dado e cuocete circa 30 minuti. Mettete in una zuppiera e spolverizzate con il pepe.
Categoria
Primi piatti
Difficoltà
Media
Tempo di preparazione
10 minuti
Tempo di cottura
50 minuti

Decifrata ‘firma immunitaria’ diabetici più a rischio Covid.

diabete e covid-19

Un prelievo sangue per predire pazienti che avranno forma grave.

Verso la possibilità di predire i pazienti diabetici più a rischio in caso di Covid: identificata, infatti, una firma immunitaria nei diabetici ricoverati per Covid che permetterebbe di prevedere il rischio individuale di finire in terapia intensiva. È il risultato di un lavoro pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine da ricercatori francesi dell’Inserm, dell’AP-HP e dell’Università di Parigi.
    Fin dai primi mesi della pandemia di Covid-19, il diabete di tipo 2 è stato identificato come un fattore di rischio per lo sviluppo di una forma grave della malattia e una maggiore mortalità. Capire il perché e identificare i biomarcatori per prevedere quali pazienti diabetici progrediranno verso una forma grave di Covid-19 che richiede la rianimazione è quindi una priorità per gestirli meglio e aumentare le loro possibilità di sopravvivenza.
    Il diabete di tipo 2 è caratterizzato anche da uno stato infiammatorio cronico, che porta al rilascio da parte del tessuto adiposo di molecole riconosciute come “segnali di pericolo” dal sistema immunitario. Di conseguenza la risposta immunitaria diviene eccessiva, portando a infiammazione dapprima localizzata e poi sistemica.
    Gli esperti francesi hanno sviluppato uno studio in ambiente ospedaliero condotto presso il “Centre Universitaire du Diabète et de ses Complications” con l’obiettivo di comprendere meglio il legame tra lo stato infiammatorio di soggetti con diabete e positivi al virus, e il rischio di sviluppare una forma grave di Covid-19. Gli scienziati hanno esaminato la risposta immunitaria di 45 pazienti ospedalizzati con Covid-19, 30 dei quali avevano il diabete di tipo 2. Tra i partecipanti a questo studio, il 35% dei pazienti diabetici ha sviluppato la malattia in forma grave che ha richiesto la rianimazione, rispetto al 25% dei non diabetici.
    I ricercatori hanno analizzato campioni di sangue di tutti i partecipanti e scoperto che i pazienti colpiti più gravemente (tutti, indipendentemente dal diabete) avevano un numero inferiore di linfociti (un tipo di cellula immunitaria) rispetto ai pazienti che non erano stati in terapia intensiva. In particolare, il team ha osservato un livello particolarmente basso di linfociti citotossici CD8+, cellule immunitarie particolarmente coinvolte nella risposta antivirale.
    Ma non è tutto, i pazienti diabetici in rianimazione hanno anche un livello più basso di ‘monociti’ (un altro tipo di globuli bianchi) nel sangue. Sono stati osservati anche cambiamenti nella morfologia di queste cellule immunitarie, che avevano una dimensione media maggiore rispetto a quelle dei pazienti non diabetici. Infine, i ricercatori hanno trovato una maggiore presenza di marcatori infiammatori, potenti molecole antivirali.
    Quindi, se i medici vedono una diminuzione dei monociti e un cambiamento di forma in queste cellule, hanno la possibilità di identificare i pazienti che richiederanno un ulteriore follow-up e potenzialmente un posto in rianimazione.
    “Questi risultati hanno una potenziale importanza clinica, se confermati in altre casistiche – sottolinea in un commento all’ANSA Francesco Purrello, diabetologo dell’Università di Catania e Presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID). Poter predire in tempo i pazienti diabetici a maggior rischio di decorso complicato ed esito infausto, ci permetterebbe di iniziare fin da subito cure aggressive per anticipare il peggioramento delle condizioni cliniche – continua. Va sottolineato che in tutte le casistiche mondiali, i pazienti con cattivo controllo della malattia (scarso compenso glico-metabolico) erano quelli con maggiore rischio di morte. I nostri sforzi quindi sono tesi da un lato a prevenire la malattia in questi soggetti “fragili”, dall’altro a individuare al più presto delle caratteristiche che ne indicherebbero una maggiore probabilità di complicanze”, conclude Purrello.

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Diabete: nasce la figura del paziente esperto in fitwalking.

Il fitwalking non è una semplice passeggiata, ma un’attività motorio-sportiva per il fitness, la salute e il benessere da praticare in relax, divertendosi. Associata alle normali terapie mediche aggiunge i benefici – scientificamente determinati – dell’attività fisica alla gestione della malattia nelle persone con diabete. 

I pluri-campioni, e fratelli, Maurizio e Giorgio Damilano, con il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del progetto Cities Changing Diabetes, mettono a disposizione le loro conoscenze e metodologie sportive per formare, insieme alle associazioni delle persone con diabete e ai loro coordinamenti regionali, figure capaci di trasmettere una filosofia e insegnare una disciplina che va oltre il semplice stile di vita salutare. I corsi pilota a Milano, Roma, Bologna, Torino, Bari, nelle Marche e in Calabria. 

Che l’attività fisica sia un efficace strumento per la prevenzione e per la cura del diabete di tipo 2 è noto da oltre vent’anni. I benefici dell’attività di tipo aerobico riguardano tutti gli aspetti della sindrome metabolica e sono chiaramente documentati: la riduzione della massa grassa, soprattutto viscerale, l’aumento della sensibilità insulinica, la riduzione della pressione arteriosa, dell’emoglobina glicata, del colesterolo LDL, dei trigliceridi. I risultati complessivi di questi effetti sono la riduzione della mortalità per cause cardiovascolari compresa tra il 30 e il 60% nei vari studi epidemiologici e la riduzione della mortalità da tutte le cause. 

Partendo da questi presupposti medico-scientifici, Maurizio Damilano, il pluricampione olimpico e mondiale di marcia che insieme al fratello Giorgio, anch’egli marciatore di alto livello, ha dato vita in Italia, nel 2001, alla disciplina del fitwalking, e che in questi anni si è molto avvicinato al mondo del diabete, mettendo a disposizione della comunità medica e dei pazienti le sue competenze e metodologie sportive, ha ipotizzato la possibilità di formare “pazienti esperti in fitwalking”, capaci di insegnare alle persone con diabete come loro a sfruttare al meglio i benefici di questa attività fisica per migliorare il controllo della loro malattia. 

Il fitwalking, infatti, è un modo sportivo di camminare. Come sottolinea Maurizio Damilano: «Non è sufficiente camminare per fare al meglio la passeggiata, il trekking, lo sport, il tour culturale e turistico o l’attività salutistica, ma è necessario camminare bene, ossia camminare osservando una corretta meccanica del movimento, acquisita conoscendo e praticando la tecnica del fitwalking. Una tecnica semplice ma indispensabile per trasformare il normale camminare in forma sportiva e adatta a tutti.» 

L’idea è stata raccolta da Cities Changing Diabetes, progetto realizzato con il contributo di Novo Nordisk e per il quale Damilano e il suo team hanno già sviluppato specifici percorsi per camminare dedicati alle persone con diabete nell’ambito del programma di promozione salutistica e del territorio Città per Camminare e della Salute, realizzato con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Salute, del Ministero delle Regioni e del Turismo e dello Sport, della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani, dell’Unione delle Province Italiane, del CONI e grazie al supporto dell’Agenzia Nazionale dei Giovani. 

Partita il 15 ottobre con un corso destinato a selezionati profili individuati dalle associazioni di persone con diabete e dai loro coordinamenti regionali di Marche, Calabria e delle Città metropolitane di Milano, Roma, Torino, Bologna e Bari, l’iniziativa proseguirà nel 2021, con l’obiettivo di formare, certificandone le competenze, la figura del “paziente esperto in fitwalking”. 

“La mia esperienza fatta sia con ASL CN1 che adesso presso la ASL Città di Torino di sfruttare la camminata a passo svelto – il fitwalking – in associazione alla terapia farmacologia e a una alimentazione corretta, mi ha permesso di osservare come questa attività motoria sia ideale per le persone con diabete, con un beneficio derivante dalla pratica indipendente dall’età del paziente e dalla durata della malattia. Si tratta di una attività che, se opportunamente modulata, può essere praticata da tutti senza controindicazioni. I benefici che si ottengono da una pratica sportiva costante, permettono una migliore qualità di vita dei pazienti associata spesso a una riduzione dei farmaci impiegati”, commenta Salvatore Endrio Oleandri, Direttore S.C. Endocrinologia e Malattie del Metabolismo, ASL Città di Torino. 

Novo Nordisk Italia

OBESITÀ: UN TREND IN CONTINUA CRESCITA IN ITALIA.

In Italia sovrappeso e obesità interessano 1 adulto su 2, con un aumento di incidenza del 30 per cento nell’arco degli ultimi 30 anni. Emerge il ruolo chiave del territorio di origine

Presentata a Roma dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, la seconda edizione dell’Italian Obesity Barometer Report realizzato in collaborazione con Istat.

In Italia, la prevalenza di persone in sovrappeso e con obesità cresce al crescere dell’età, tanto che se l’eccesso di peso riguarda 1 minore su 4, la quota quasi raddoppia tra gli adulti, raggiungendo il 46,1 per cento tra le persone di 18 anni e oltre. La prevalenza maggiore si riscontra in entrambi i generi nella classe 65-74 anni (61,1 per cento) e, mentre la maggioranza degli uomini presenta un eccesso ponderale già a partire dai 45 anni, per le donne ciò si verifica dopo i 65 anni. Negli ultimi 30 anni, inoltre, è stato registrato un aumento di incidenza dell’eccesso di peso pari al 30 per cento ed emerge prepotentemente il ruolo del territorio di origine. Questi sono alcuni degli aspetti evidenziati dal rapporto Istat realizzato per il secondo Italian Obesity Barometer Report che verrà presentato oggi in occasione del 2nd Italian Obesity summit – Changing ObesityTM meeting. Organizzato dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) con l’Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete” e OPEN Italia – Obesity Policy Engagement Network, l’evento ha il patrocinio di Ministero della Salute, ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani, Istituto Superiore di Sanità, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e il contributo non condizionato di Novo Nordisk nell’ambito del progetto internazionale Changing Obesity.

Il Rapporto mostra come l’Italia, pur presentando livelli di obesità e sovrappeso meno allarmanti rispetto agli altri paesi europei, registri un aumento dell’incidenza di sovrappeso e obesità del 30 per cento negli ultimi 30 anni, di cui solo un terzo possa essere attribuito all’invecchiamento della popolazione. «I confronti temporali, analizzati per genere e classe di età tra gli adulti hanno evidenziato degli incrementi specifici, in particolare tra le donne dai 18 ai 45 anni (in media +15 per cento) e per le persone dai 75 anni in entrambi i generi, dove per gli uomini si riscontra addirittura un aumento del 20 per cento. Per l’obesità le differenze di genere si sono leggermente acuite nel tempo, in quanto l’aumento ha riguardato in misura maggiore gli uomini, soprattutto a partire dai 55 anni» scende maggiormente nel dettaglio Roberta Crialesi, Dirigente del Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia di ISTAT «L’analisi temporale evidenzia anche che la geografia è rimasta inalterata con lo svantaggio dell’area meridionale, pur aumentando in misura maggiore in alcune regioni del Nord: in Liguria e Valle d’Aosta, ad esempio, si è registrato un aumento dell’eccesso di peso superiore al 10 per cento, in Lombardia e in Piemonte l’incremento è stato doppio rispetto a quello della media nazionale del 4 per cento. Per l’obesità aumenta la prevalenza di oltre il 30 per cento nelle regioni Liguria, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna al Nord, Umbria e Calabria al Centro-Sud, a fronte di un incremento medio a livello Italia del 17 per cento», aggiunge.

Analizzando i fattori socio-culturali, il rapporto mette in luce un elemento sin qui poco sottolineato: la relazione tra l’eccesso di peso e il luogo di origine dell’individuo. Esiste infatti un legame con aspetti influenti, come, ad esempio, il rapporto con il cibo o l’adozione di modelli alimentari e stili di vita acquisiti e radicati nella zona di nascita prima di diventare adulti, tanto che nelle regioni del Centro-Nord le prevalenze dell’eccesso di peso delle persone nate nel Mezzogiorno sono superiori al dato medio regionale. Per esempio, in Piemonte dove oltre il 15 per cento degli adulti residenti ha dichiarato di essere nato in una regione del Mezzogiorno, l’eccesso ponderale delle persone che sono migrate è più elevato del 30 per cento rispetto al dato medio piemontese. Viceversa, nelle regioni del Mezzogiorno, sebbene le prevalenze siano riferite a un campione molto più ristretto per la minore consistenza delle migrazioni da Nord a Sud, le prevalenze delle persone nate al Centro-Nord si collocano sempre al di sotto della media regionale.

«L’Italian Obesity Barometer Report 2020, realizzato da IBDO Foundation in collaborazione con ISTAT e CORESEARCH e il contributo di esperti, evidenzia non solo i dati italiani e globali dell’obesità, ma prende anche in esame le politiche sanitarie di contrasto all’obesità intraprese in Italia permettendo una analisi critica che permette di evidenziare i risultati e i limiti delle strategie attuate. L’ambizione del report e dell’azione complessiva dell’IBDO Foundation è quello di animare il dibattito tra i vari “attori” coinvolti nella lotta all’obesità, partendo dai dati disponibili, per arrivare a trovare soluzioni che migliorino la qualità di vita delle persone con obesità» dice Renato Lauro, Presidente IBDO Foundation.

«L’obesità è una patologia cronica multifattoriale che richiede una gestione di lungo termine che però spesso viene considerata come responsabilità del singolo, una scelta di stile di vita dovuta a una scarsa auto-disciplina e a una mancanza di motivazione. Questa convinzione, fortemente presente nell’opinione pubblica, persino osservata negli operatori sanitari che sono stati individuati come la seconda fonte più frequente di stigma nei confronti del peso dopo i familiari. Il pregiudizio sul peso tra gli operatori sanitari impedisce il rapporto emozionale con i pazienti, aspetto che può portare alla mancanza di diagnosi e di sostegno e, di conseguenza, a un efficace intervento per la gestione del peso. La barriera a una cura efficace non è solo conseguenza dello stigma. Per le persone con eccesso di peso, la stigmatizzazione è associata ad una maggiore sofferenza psicologica e a un’obesità più grave» sottolinea Paolo SbracciaVice Presidente IBDO Foundation e Professore Ordinario di Medicina Interna dell’Università di Roma “Tor Vergata” che ha coordinato l’Italian Obesity Barometer Report.

«Per affrontare e vincere la sfida contro l’obesità, i cui costi relativi a livello globale sono in aumento e sovrapponibili a quelli derivati dalle guerre, dal terrorismo e all’uso delle armi, non è più possibile continuare ad agire a silos, dove ognuno è depositario di un pezzo della cosiddetta “verità”» afferma Andrea Lenzi, Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Coordinatore Italia dell’Obesity Policy Engagement Network (OPEN) «È necessario passare dalla creazione di network virtuali a quello di network virtuosi, in grado di integrare saperi e competenze, dove le Istituzioni debbono colloquiare con i clinici e le Università, con il tessuto sociale e con l’industria in un modello moderno di cross-sector partnership. Per questo l’Italian Obesity Barometer Report annualmente ha il merito di consentirci di approfondire l’impatto che questa malattia ha nel nostro Paese».

Parlare di obesità oggi assume un significato ancora più importante in quanto, come sottolinea la World Obesity Federation (WOF), “Il coronavirus può causare sintomi e complicazioni più gravi nelle persone con condizioni legate all’obesità”. Per questo motivo, lo scorso maggio è stata inviata al Ministro della Salute Speranza e a tutti i rappresentanti delle Istituzioni coinvolte, per il tramite dell’On. Roberto Pella, Presidente Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete e Vicepresidente vicario ANCI, una Lettera Aperta. Il documento, sottoscritto da tutte le società scientifiche e associazioni di pazienti e cittadinanza, ha inteso sottolineare l’urgenza di atti a tutela delle persone con obesità, ancor più fragili durante la pandemia per ragioni legate a difficoltà di convivenza con un ambiente obesogeno e all’interruzione delle cure o delle visite.

«L’obesità è un problema molto rilevante di salute pubblica e di spesa per i sistemi sanitari nazionali. Si tratta di un’analisi condivisa da tutti, nelle proporzioni che oggi vediamo illustrate, che impone una presa di consapevolezza da parte dei decisori politici a tutti i livelli istituzionali. Dall’approvazione all’unanimità, avvenuta lo scorso 13 novembre 2019 presso la Camera dei Deputati, della Mozione che impegna il Governo ad adottare azioni per la prevenzione e la cura dell’obesità, richiedendo in primis il riconoscimento dell’obesità come malattia cronica, è trascorso quasi un anno: oggi chiediamo ulteriori e nuovi sviluppi, a partire dall’inserimento della malattia nei LEA, che garantirebbe pieno accesso alle cure e ai trattamenti, e da una campagna mediatica nazionale contro lo stigma sociale che coinvolga il mondo dell’informazione, dello sport, della scuola, dei comuni», conclude Roberto Pella.

Per visualizzare il report clicca qui 

HealthCom Consulting

Quattro milioni dalla Ue all’Università Padova per il pancreas artificiale.

Quattro milioni di euro per finanziare la ricerca di bioingegneria in ambito diabetologico dalla Commissione Europea, nel quadro del programma Future & Emerging Technologies Proactive Horizon 2020, sono stati assegnati a “Forgetdiabetes”, progetto ideato da Claudio Cobelli, professore emerito di Bioingegneria dell’Università di Padova.

Nei prossimi quattro anni, i ricercatori padovani lavoreranno con i colleghi dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa per lo sviluppo di un pancreas artificiale completamente impiantabile, per la cura del diabete tipo 1.

“Un team interdisciplinare – spiega Cobelli – con i migliori esperti in micro-nanomeccatronica, modellazione, ingegneria di controllo, biomateriali, endocrinologia, chirurgia e scienze comportamentali è stato ‘assemblato’ per sviluppare ciò che è stato considerato impossibile per decenni: un sensore per glicemia più pompa per insulina, che per le dimensioni altamente miniaturizzate potrà essere impiantato all’interno dell’addome e grazie a un sistema di gestione intelligente consentirà un controllo quotidiano completamente automatico ed ‘invisibile’ del diabete, consentendo al malato di liberarsi dagli oneri quotidiani per il controllo del suo diabete”. 

Il diabete tipo 1 è una malattia cronica ancora senza possibilità di guarigione: in Italia colpisce circa 300.000 persone di cui circa 18.000 bambini, dipendenti dall’insulina: ogni anno devono effettuare 3.000 punture del dito per il controllo della glicemia e circa 1.800 iniezioni. Le nuove tecnologie negli ultimi anni hanno notevolmente migliorato la qualità della vita.
La valenza europea del progetto Forgetdiabetes è confermata dalla collaborazione del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione (Dei) dell’Universià di Padova e l’Istituto di Biorobotica della Scuola Sant’Anna di Pisa e WaveComm SME di Siena per gli sviluppi di bioingeneria; Lifecare, SME, Trondheim (Norvegia), per lo sviluppo di un sensore glicemico miniaturizzato; il Centre Hospitalier Universitaire de Montpellier (Francia), il Pfützner Science & Health Institute GmbH, Mannheim (Germania) e il Forschungsinstitut der Diabetes-Akademie Bad MergentheimBad (Germania) per gli sviluppi clinici e la valutazione dell’impatto psicologico. A conclusione del percorso di sviluppo tecnologico, il progetto consentirà allo staff della Diabetologia Pediatrica di Padova, diretta da Carlo Moretti, di estendere la sperimentazione anche ai bambini ed adolescenti.

Fonte

Torta ciosota radicchio e carote.

Il radicchio è un ortaggio cheappartiene alla famiglia delle Composite. Ha proprietà antiossidanti ed è utile contro psoriasi, diabete di tipo 2, obesità, stitichezza e cattiva digestione. 

Esistono varietà di radicchio dal sapore amarognolo ed altre più dolci, quasi tutte sono croccanti. Le tipologie di radicchio si dividono essenzialmente in due grandi gruppi: quelli con foglie dal colore rosso intenso e quelli con foglie variegate.

Sono pregiati il radicchio rosso di Treviso, il radicchio rosso di Verona e il radicchio rosso di Chioggia.

Grazie all’elevata percentuale di acqua, il radicchio è depurativo; può essere inoltre un valido aiuto per chi soffre di stitichezza e difficoltà digestive.

Ha un bassissimo potere energetico ed è quindi utile nelle diete ipocaloriche. Le fibre contenute nel radicchio sono in grado di trattenere gli zuccheri presenti nel sangue; per questo motivo è un alimento consigliato a chi soffre di diabete di tipo 2.

Quest’ortaggio è utile anche a chi soffre di psoriasi.


Il radicchio rosso, come tutti i vegetali di questo colore, è ricco di antiossidanti. Contiene antociani e triptofano, i primi aiutano a prevenire i fattori di rischio cardiovascolare, mentre il triptofano aiuta a combattere l’insonnia.

Informazioni nutrizionali per porzione

Valore energetico
per porzione
KCalKJoule
3771576
MacronutrientiQtàRipartizione
Proteine alto valore biologico0 gr
Proteine6 gr6%
Carboidrati46 gr47%
Grassi20 gr46%
Tipo di grassiQtàRapporto 
Sat/Mono/Poli
Saturi7.9 gr1:1.3:0.2
Monoinsaturi10.4 gr
Polinsaturi1.9 gr
Altri nutrientiQtà% RDA
Colesterolo39 mg13 %
Fibre5 gr20 %
Sodio28 mg1 %

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Ingredienti per 8 porzioni (1 porzione)
Zucchero200 gr (25)
Mandorle senza guscio100 gr (13)
Farina di frumento integrale200 gr (25)
Burro120 gr (15)
Carote200 gr (25)
Radicchio rosso80 gr (10)
sale q.b 
bustina lievito in polvere
Preparazione
Preriscaldare il forno a 170°. Imburrate e infarinate una tortiera con fondo apribile di 26 cm diametro. Montare le uova e 100 grammi di zucchero. Trasferirle in una ciotola. Tritare finemente le mandorle. Tritare le carote ed il radicchio. Mescolate al radicchio e carote, la farina di mandorle, la farina integral, 100 gr di zucchero, il sale ed il burro. Aggiungere lievito e amalgamate. Trasferite il composto in nella tortiera e cuocere in forno per 30/40 minuti a 170 °. Verificate la cottura con la prova stecchino.

Diabete tipo 2: 1 paziente su 3 ha una malattia cardiovascolare che nel 90 per cento è di natura aterosclerotica.

Presentati al Congresso EASD 2020 i risultati dello studio CAPTURE, il più grande studio epidemiologico al mondo sul rapporto tra diabete tipo 2 e malattie cardiovascolari.

Una persona su 3 con diabete tipo 2 presenta una malattia cardiovascolare che nel 90 per cento dei casi è di natura aterosclerotica ossia causata dall’accumulo di colesterolo sulle pareti delle arterie, prima causa di infarto e ictus. Questi sono i principali risultati scaturiti dallo studio CAPTURE, presentato oggi da Novo Nordisk in occasione del congresso della società europea di diabetologia EASD. Lo studio CAPTURE ha valutato la prevalenza delle malattie cardiovascolari, il loro rischio e come vengono gestite nelle persone con diabete tipo 2. Primo nel suo genere, ha coinvolto circa 10.000 partecipanti provenienti da 13 paesi di tutto il mondo, raccogliendo dati sia dall’ambito specialistico diabetologico sia della medicina generale. Lo studio ha, inoltre, messo in luce come solo 2 persone su 10 con diabete tipo 2 e aterosclerosi ricevano un trattamento con farmaci di comprovato beneficio cardiovascolare.

“I risultati dello studio CAPTURE sono fondamentali per chiunque sia coinvolto nella cura di persone con diabete tipo 2. I dati evidenziano che, nonostante la prevalenza di aterosclerosi in questa popolazione sia elevata, la grande maggioranza dei pazienti non viene curata con i trattamenti che hanno dimostrato di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari”, ha sottolineato uno degli autori dello studio, la prof.ssa Ofri Mosenzon, della Diabetes Unit, Hadassah Medical Center in Israele. “È prioritario considerare le malattie cardiovascolari un fattore chiave nella gestione del diabete tipo 2. Le persone con diabete tipo 2 devono essere più consapevoli dei rischi ai quali vanno incontro e i medici devono effettuare uno screening attivo per tutti i fattori di rischio. Oggi, infatti, sono disponibili farmaci con benefici cardiovascolari comprovati, raccomandati anche dalle varie linee guida di trattamento”, aggiunge.

“Lo studio CAPTURE è una pietra miliare nella comprensione della malattia cardiovascolare nel diabete tipo 2, perché conoscere i numeri “attuali” di questa temibile complicanza rappresenta un punto di svolta per noi clinici impegnati nella cura del diabete, una base da cui partire per migliorare la vita del paziente gestendo correttamente la malattia” dichiara la Prof.ssa Giuseppina Russo del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale del Policlinico Universitario “G. Martino” di Messina e Global Scientific Leader dello studio.

“Le malattie cardiovascolari sono la principale causa di disabilità e di morte tra le persone con diabete tipo 2. Fino a poco tempo fa, la natura del legame tra il diabete tipo 2 e le malattie cardiovascolari non era pienamente riconosciuta su scala globale”, ha commentato Stephen Gough, Chief Medical Officer di Novo Nordisk. “Con i risultati dello studio CAPTURE, Novo Nordisk si augura di contribuire a una maggiore comprensione della malattia e della sua gestione, e a far sì che gli operatori sanitari possano migliorare la cura del diabete, con maggiori benefici per i pazienti”, conclude.

Per ulteriori informazioni sullo studio CAPTURE, visitare il sito:

https://www.abstractsonline.com/pp8/#!/9143/presentation/485

https://www.abstractsonline.com/pp8/#!/9143/presentation/664

https://www.epresspack.net/novonordiskEASD2020/CAPTURE/

comunicato stampa Novo Nordisk Italia

Diabete, insulina orale più vicina. Si pensa alla fase III.

A livello globale quasi il 10% della popolazione mondiale soffre di diabete, che nel 90% dei casi è di tipo 2. Il trattamento iniziale del diabete prevede di adottare un’alimentazione più salutare e di svolgere una regolare attività fisica insieme all’assunzione di farmaci antidiabetici per via orale. 

Se questi approcci non portano ai risultati sperati, vengono generalmente consigliate le iniezioni di insulina per compensare l’incapacità del pancreas nel produrre questo ormone.

Tuttavia le iniezioni di insulina hanno il limite di una scarsa aderenza terapeutica da parte del paziente, a cui si aggiungono i problemi di sicurezza legati alla tossicità da insulina, aumento di peso e ipoglicemia. Per questo motivo, nonostante i benefici ben documentati dell’uso precoce di insulina, la maggior parte dei medici e dei pazienti la utilizza come ultima risorsa.

Il progetto Oralis ha consentito di sviluppare una tecnologia per la somministrazione orale del farmaco, e ha completato la fase II con risultati promettenti.

Insulina per via orale in sviluppo
Grazie al progetto Oralis sostenuto dall’Unione Europea, la compagnia Oramed Pharmaceuticals ha lavorato sullo sviluppo di una capsula in grado di veicolare l’insulina nell’organismo attraverso il sistema gastrointestinale, piuttosto che il flusso sanguigno, sfruttando la tecnologia innovativa proprietaria Protein Oral Delivery (POD) studiata per trasformare i trattamenti iniettabili in terapie orali.

I ricercatori hanno già condotto studi clinici in cui il loro candidato farmaco, chiamato ORMD-0801, non solo si è dimostrato sicuro e ben tollerato ma ha anche consentito di ridurre i livelli di emoglobina glicata (HbA1c) e la glicemia a digiuno senza aumentare il peso corporeo.

Una tecnologia rivoluzionaria
La tecnologia di Oramed utilizza un rivestimento speciale che consente di proteggere il farmaco nel tratto gastrointestinale, mentre un inibitore della proteasi impedisce agli enzimi intestinali che degradano le proteine di danneggiarlo. L’aggiunta di stimolatori dell’assorbimento aiuta i peptidi ad attraversare la parete dell’intestino tenue.

Tra i diversi studi clinici condotti sul candidato, il più recente e ampio è stato un trial di fase II che ha coinvolto oltre 300 partecipanti per una durata di trattamento di 90 giorni. I risultati hanno dimostrato una riduzione statisticamente significativa dei livelli di HbA1c, accompagnata da buone risposte in termini di sicurezza e tollerabilità. Fino a oggi ORMD-0801 è stato somministrato oltre 7000 volte in più di 700 persone.

«Sorprendentemente, abbiamo scoperto che l’assunzione della nostra insulina orale solo una volta al giorno la sera prima di andare a dormire ha avuto un effetto statisticamente significativo sull’abbassamento del glucosio nel sangue per 24 ore intere» ha dichiarato il direttore scientifico di Oramed Miriam Kidron.

La terapia ideale
Nella sola Europa, oltre il 6% della popolazione adulta soffre di diabete e questo numero cresce ogni anno. Dato che il trattamento precoce ha dimostrato di comportare benefici a lungo termine per la salute delle persone con diabete, l’insulina orale potrebbe rappresentare un punto di svolta. «Questa potrebbe diventare la terapia di riferimento per il diabete di tipo 2, soprattutto come opzione in fase iniziale. Sentiamo che in questo momento siamo vicini a qualcosa di veramente rivoluzionario» ha osservato.

«Siamo molto soddisfatti del feedback positivo ricevuto durante il nostro incontro con la Fda e non vediamo l’ora di presentare all’agenzia i nostri protocolli per le sperimentazioni di fase III. Una volta completate con successo, presenteremo la Biologics license application (BLA) che ci concederebbe 12 anni di esclusiva di marketing per ORMD-0801» ha affermato Nadav Kidron, Ceo dell’azienda. «Sulla base dei nostri risultati scientifici e degli studi clinici condotti fino ad oggi, crediamo fermamente che la nostra insulina orale risolverà i bisogni insoddisfatti dei pazienti diabetici».

Oltre all’insulina, la compagnia sta sviluppando versione orale dell’analogo del GLP-1 iniettivo exenatide, denominata ORMD-0901.

Fonte

Il diabete si può prevenire o anche invertire se si evita il sovrappeso.

Perdere peso potrebbe prevenire o addirittura invertire il diabete, indipendentemente dalla predisposizione genetica a sviluppare la condizione, secondo quanto emerso da una ricerca presentata al congresso della European Society of Cardiology (ESC) 2020.

Come evidenziato dai ricercatori, nel 2019 circa 463 milioni di persone in tutto il mondo soffrivano di diabete, principalmente (circa il 90%) di tipo 2, che raddoppia il rischio di malattia coronarica, ictus e morte per malattie cardiovascolari.

Obiettivi dello studio erano:

  1. valutare quanto si modifica il rischio di sviluppare diabete a tutti i livelli di punteggio poligenico (PGS) per la malattia in funzione dell’indice di massa corporea (BMI), che rappresenta la principale causa modificabile del diabete, così da stimare il rischio di sviluppare la condizione nel corso della vita
  2. comparare l’effetto del sovrappeso a lungo e a breve termine sul rischio di diabete a tutti i livelli di predisposizione genetica per identificare il trattamento ottimale per prevenire o invertire la malattia

«Dal momento che siamo nati con i nostri geni, potrebbe essere possibile individuare precocemente chi ha un’alta probabilità di sviluppare il diabete nel corso della vita», ha affermato il ricercatore principale e relatore al congresso Brian Ference, dell’Università di Cambridge (UK) e dell’Università di Milano. «Abbiamo condotto questo studio per scoprire se la combinazione del rischio ereditario e dell’indice di massa corporea potrebbe identificare le persone a maggior rischio di sviluppare la malattia. Gli sforzi di prevenzione potrebbero quindi concentrarsi su questi individui».

Maggiore BMI = maggiore rischio di diabete
Lo studio ha incluso oltre 445mila soggetti i cui dati e campioni biologici erano presenti nella UK Biobank, con età media di 57,2 anni e per il 54% donne. Il rischio ereditario di diabete è stato valutato utilizzando 6,9 milioni di geni. All’arruolamento sono stati misurati altezza e peso per calcolare l’indice di massa corporea (BMI), poi i partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi in base al rischio genetico di diabete e in cinque gruppi in base al BMI.

I partecipanti sono stati seguiti fino a un’età media di 65,2 anni. Durante quel periodo oltre 31mila persone hanno sviluppato il diabete di tipo 2.

I soggetti nel gruppo con BMI più alto (media 34,5 kg/m2) avevano un rischio di diabete 11 volte maggiore rispetto a quelli con BMI più basso (media 21,7). Avevano inoltre maggiori probabilità di sviluppare il diabete rispetto a tutti gli altri gruppi, indipendentemente dal rischio genetico. «I risultati indicano che il BMI è un fattore di rischio per il diabete molto più potente della predisposizione genetica» ha detto Ference.

La durata del sovrappeso non influisce
I ricercatori hanno quindi utilizzato metodi statistici per stimare se la probabilità di diabete nelle persone con un BMI elevato sarebbe stata ancora superiore se fossero state in sovrappeso per un lungo periodo di tempo, scoprendo che la durata di un BMI elevato non ha avuto un impatto sul rischio di sviluppare la malattia.

«Questo suggerisce che quando le persone superano una certa soglia di BMI le loro possibilità di diabete aumentano e rimangono allo stesso alto livello di rischio indipendentemente dal tempo in cui restano in sovrappeso» ha aggiunto, facendo presente che la soglia, ovvero il BMI al quale iniziano a sviluppare livelli di zucchero nel sangue anomali, è probabilmente diversa da persona a persona.

«I risultati indicano che la maggior parte dei casi di diabete potrebbe essere evitata mantenendo l’indice di massa corporea al di sotto del limite che innesca livelli anomali di zucchero nel sangue. Questo significa che per prevenire il diabete dovrebbero essere valutati con regolarità tanto il BMI quanto la glicemia. Quando cominciano a comparire i problemi glicemici è fondamentale impegnarsi per perdere peso» ha concluso. «Ridurre il peso corporeo nelle fasi iniziali, prima che si verifichi un danno permanente, potrebbe anche consentire di invertire il diabete».

Bibliografia

European Society of Cardiology. “Body mass index is a more powerful risk factor for diabetes than genetics.” ScienceDaily. ScienceDaily, 31 August 2020.

Fonte